Omelia per la Solennità di Cristo Re in occasione del conferimento dei ministeri istituiti
“Dunque, tu sei re?”. Nella domanda scottante di Pilato c’è di tutto e di più. Al di là delle parole, si avverte un retrogusto di derisione canzonatoria, di amaro sarcasmo, rigato dalla venatura di un risolino borioso e sufficiente. Ma si capta anche una buona dose di sbigottito sgomento. Questo poveraccio, senza un amico, senza la sponsorizzazione di un qualche potente. Tra le grinfie di politicanti decisi a farlo fuori, in balia di una folla ondivaga, diventata ormai una marmaglia inferocita, afferma di essere re. E’ un povero esaltato? Un pazzo scatenato? Scandalo!
Dunque tu sei re? La risposta è chiara e asciutta. “Tu lo dici. Per questo sono venuto nel mondo”. Strano. E’ venuto nel mondo per essere re, eppure il suo regno non è di questo mondo. Ma allora che ci è venuto a fare nel mondo? Il procuratore romano rimane confuso e allibito. Non ci arriva proprio a capire che Gesù non è venuto per essere re di un altro mondo, ma per essere re di questo mondo in un altro modo. E’ venuto per importare in questo mondo un modo nuovo di esercitare il potere: non come dominio, ma come servizio.
1. Rivolgiamo ora due sguardi incrociati. Il primo è a Gesù e a Pilato. Due persone, due autorità, due mondi, due logiche. La logica mondana poggia sull’ambizione e sulla competizione, combatte con le armi micidiali della paura, del ricatto e della manipolazione delle coscienze. La logica evangelica invece si nutre di umiltà e di gratuità, si fa strada con la non-violenza, si afferma silenziosamente ma efficacemente non con la verità della forza, ma con la forza della verità. Il potere umano spesso si fonda sulla prepotenza, sull’odio, sulla violenza. Il regno di Cristo è un “regno di giustizia, di amore e di pace” (pref.).
E’ nell’evento della croce che si è svelata la regalità di Cristo. Chi guarda la croce non può non vedere la sorprendente gratuità dell’amore: un amore che rimane fedele, totale, incondizionato, anche di fronte al rifiuto. Che appare come la conclusione di una vita spesa nella traboccante, irreversibile consegna di sé. Sul Calvario i passanti e i capi deridono il Crocifisso di mezzo e gli lanciano la sfida: “Salva te stesso” (Mc 15,30s). Ma paradossalmente la verità di Gesù è proprio quella che in tono di scherno gli vomitano addosso i suoi avversari: “Non può salvare se stesso”. Se Gesù fosse sceso dalla croce, sarebbe apparso come un re-messia uguale agli altri. Lui invece è proprio per poter salvare gli altri che non può salvare se stesso. Così riconosce il buon ladrone, che lo supplica: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno” (Lc 23,42).
L’anima del regno di Cristo è l’amore: per questo il dominio di Cristo non ci opprime, non ci reprime. Non ci ricatta, ma ci riscatta. Ci muove e ci promuove. E’ un re che non ci riduce al rango di sudditi, ma ci eleva alla sua stessa dignità: “ci fa regnare con lui come sacerdoti al servizio di Dio Padre” (II lettura). Siamo un popolo di re. Siamo dei re che a loro volta non si fanno schiavi di nessuno, ma servi di Dio e di tutti. Perché servire per amore è regnare.
2. Ora guardiamo a Gesù re e servo, e guardiamo a voi, sorelle e fratelli, che state per essere istituiti ministri. Cioè servi, a servizio di colui che si è presentato ai suoi con questo biglietto da visita: “Io sono in mezzo a voi come colui che serve”(Lc 22,27).
Contemplando Gesù che si piega a lavare i piedi dei suoi discepoli, che si consegna ai Dodici donandosi come pane da mangiare e come sangue da bere, che muore consegnandosi volontariamente alla sua passione e alla morte, e morte di croce, noi scopriamo tre caratteristiche del servizio che ci impediscono di fraintenderlo. La prima è che il servizio nasce dal cuore dell’esistenza e coinvolge tutta la persona e tutta la sua vita. Non è riducibile a qualcosa da fare, ad un ruolo da svolgere, a una prestazione da assicurare. Il servizio è un modo di vivre, non un compito da svolgere. La seconda caratteristica è che il modello di ogni servizio e ministero è sempre e solo Gesù Cristo. Per capire cosa è il servizio, il cristiano non si accontenta di un bla-bla di parole al vento. Né si confronta su teorie generali e astratte. Ma si misura su un esempio chiaro e concreto: la vita di Gesù. La terza caratteristica è che Gesù parla di un servizio per tutti: “servi di tutti”. Non è concesso scegliere chi servire: alcuni sì, e altri no. E’ solo la tipologia del bisogno che può indicare le priorità del servizio.
Così possiamo declinare le virtù tipiche di un ministro, che sia lettore o accolito, o ministra straordinaria della comunione eucaristica. La prima è la gratuità. Non rodetevi mai il fegato se quanti arrivano a servire nella vigna del Signore fin dalla prima ora, guadagnano quanto quelli dell’ultima ora della giornata. Perché è più importante sentirsi amati che vedersi pagati a tariffa sindacale. Parola di Gesù.
La seconda è la carità, ossia l’amore vero, puro, pieno. Quando si serve, non importa quanto si dà o quanto si fa, ma quanto amore si mette nel dare o nel fare. Parola di Madre Teresa di Calcutta.
La terza è l’umiltà. Non basta che si sudi o si serva per Gesù, altrimenti il rischio è che ci si riduca a facchini stressati e frustrati, ma il Signore non vuole questo. Gesù vuole che noi serviamo in lui, come servi nel Servo, come discepoli innamorati, fedeli, fidati e affidabili. Parola di don Oreste Benzi.
L’ultima è la gioia, che è insieme radice e frutto, causa ed effetto, condizione e conseguenza: “Chi ha un ministero attenda al ministero. (…) Chi fa opere di misericordia, le compia con gioia” (Rm12,7s.). “Sognavo e vidi che la vita era la gioia. Mi svegliai e vidi che la vita era servizio. Volli servire e vidi che il servizio era la gioia”. Parola di Tagore.
La gioia: non dico l’euforia frizzantina, quel “friccicore ar core”, come dicono a Roma. No, la gioia pura e limpida, come quei ruscelletti alpini, che si specchiano nel “brillio degli occhi” (Carròn) di un bambino. Quella gioia semplice e schietta, di chi non si ripiega ad assaporare le proprie tristezze, di chi non sta sempre lì a piangersi addosso, di chi ha ormai imparato ad amare in modo disarmato.
Sì, ve ne auguro tanta di questa gioia di marca evangelica, e ve la invoco in misura pigiata, scossa e traboccante.
Rimini, Basilica Cattedrale – 21 novembre 2021
+ Francesco Lambiasi