Omelia tenuta dal Vescovo nella celebrazione eucaristica per il conferimento dei Ministeri
Da persecutore irriducibile a indomabile evangelizzatore; da zelante fariseo, da intollerante fondamentalista e impettito osservante della Legge giudaica a missionario travolgente, innamorato folle di Gesù Cristo: è l’itinerario percorso da Saulo di Tarso. Ma cosa è avvenuto quel giorno sulla strada di Damasco? Noi parliamo di ‘conversione’, ma, ad essere puntigliosi, Paolo non usa mai questo termine. Preferisce parlare di ‘vocazione’ o di ‘illuminazione’ (cfr Gal 1,15s; 2Cor 4,6). Non possiamo comunque pensare alla folgorazione di Damasco solamente nell’ottica di una conversione morale: Saulo, da peccatore incallito, avrebbe deciso di cambiare vita, e da feroce, spietato persecutore avrebbe optato per la scelta della non-violenza. Né tantomeno possiamo pensare a Paolo come all’uomo che cambia bandiera: prima serviva la Sinagoga, dopo sarebbe passato armi e bagagli alle file dell’esercito nemico e si sarebbe messo a servire la Chiesa.
1. Ritorniamo sulla seconda lettura (Fil 3,8-14). Parlando di sé e della svolta di Damasco, Paolo si limita a dire: “Sono stato conquistato da Gesù Cristo”. Ecco il vero soggetto della sua ‘conversione’: non è lui che si è convertito a Cristo, ma è Cristo che lo ha braccato, lo ha appostato dietro lo svincolo della via per Damasco e lo ha letteralmente ‘acciuffato’, ‘ghermito’. Una volta steso, Saulo si è sentito amato e perdonato, e si è finalmente arreso all’abbraccio del Crocifisso-Risorto.
Trasformato dalla scoperta di Gesù, Paolo considera ormai come ‘spazzatura’, come ‘rifiuti’ nauseanti e stomachevoli ‘escrementi’ tutti i suoi presunti meriti e i privilegi della vita passata. Fra tante millanterie e vanaglorie da rigettare, vi è prima di tutto l’osservanza meticolosa della Legge giudaica: Paolo aveva creduto di potersene vantare per tranquillizzare la propria coscienza davanti a Dio. Così aveva finito per ritenersi impeccabile, completamente immacolato e irreprensibile. Ma, dopo aver scoperto la propria miseria, capì che aveva bisogno di essere liberato dal suo orgoglio e si rese conto di cosa era la misericordia divina. Avendo intuito il vero rapporto con il Dio d’amore, Paolo rinasce a vita nuova e vive non più centrato su di sé, ma su Cristo Gesù, che egli chiama “mio Signore”.
E’ lampante: dal caso di Saulo di Tarso si deduce che propriamente non ci si converte né a una dottrina né a una istituzione, ma a una persona, così da stabilire con essa una relazione, appunto, personale: appassionata e totalizzante. Niente di meno che questo vuol dire l’Apostolo quando scrive: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20), o quando dichiara: “Per me vivere è Cristo” (Fil 1,21). Cioè: la persona di Cristo è ormai la vera ragion d’essere e costituisce tutto il senso e il succo della vita di Paolo, dopo l’evento di Damasco.
2. Chi è dunque Gesù per Paolo? Non è un personaggio del passato, da celebrare con vuote commemorazioni, che inesorabilmente risulterebbero altrettante patetiche flebo a una salma imbalsamata. Non è un semplice modello da imitare, con sforzi sfiancanti, ma disperatamente condannati a rimanere vani e frustranti. Il Gesù di Paolo non sta fuori o davanti ai cristiani, ma sta dentro di loro: è il cuore della loro vita, il canto del loro cammino, la luce della loro identità, la forza e la dolcezza del loro amore. Cristo non è tanto una parallela che corre accanto alla strada del cristiano, ma una perpendicolare che investe in pieno la sua esistenza.
La scoperta del ‘tesoro’ sulla strada di Damasco porta il convertito Saulo ad una immediata svalutazione delle perle finte che fino ad allora aveva fanaticamente collezionato. Paolo, certo, non si sente arrivato, ma alla scuola di Gesù ha ormai imparato ciò che non aveva capito alla scuola di Gamaliele. Ha imparato che Dio non è un ‘bancomat’ al quale presentarsi con una carta di credito, illusoriamente ritenuta fitta zeppa di supposti ‘titoli’ da esibire. Con Dio non si fa mercato!
Il “tesoro” che Paolo ha scoperto viene portato “in vasi di creta, perché appaia che questa potenza straordinaria viene da Dio e non da noi…” (2Cor 4,7). La nostra debolezza è il luogo adatto alla manifestazione della potenza di Dio. Lo sfoggio, la boria, l’arroganza, invece, l’annullano. La fortezza cristiana viene da Dio, non dall’uomo! Si manifesta nella fede e nella fiducia in Dio, non nella fiducia di sé. La vera debolezza è il vanto di chi vuole manifestare se stesso. Come se la potenza di Dio fosse suo monopolio.
Se ci fosse stato Saulo quel giorno a Gerusalemme, sulla spianata del tempio, quando fu trascinata davanti a Gesù quella poveretta, sorpresa in flagrante adulterio, anche lui avrebbe afferrato una pietra per scagliarla contro di lei, ma poi anche lui, smascherato dalle parole roventi di rabbi Jeshù, si sarebbe visto costretto a lasciare scivolare il sasso dalle proprie mani, sporche di fango e di sangue. Ma se ci fosse stato Paolo, ossia il Saulo ormai “conquistato da Cristo”, avrebbe probabilmente detto: “Lasciatela andare; lapidate me, al posto suo”.
3. Carissimi, state per ricevere il ministero del lettorato, dell’accolitato e quello straordinario della comunione eucaristica. Ricordate sempre che il ministero richiede a colui che lo riceve che abbia già incontrato Cristo e si sia lasciato “conquistare” da lui. Come Paolo, non sentitevi mai arrivati alla meta, ma correte con fiducia e perseveranza fino a raggiungerla. Testimoniate con fatti di vangelo che Cristo è veramente l’unico ‘tesoro’ della vostra vita, rispetto al quale tutti gli altri presunti ‘valori’, anche quelli che luccicano di più – come denaro, carriera, immagine – sono solo chincaglierie fasulle e vili cianfrusaglie. Tenete fisso lo sguardo su Gesù Crocifisso. A molti la croce appare debolezza, ma per noi credenti è il luogo più luminoso della potenza di Dio.
In particolare, voi lettori ricordate e testimoniate con la vita che la parola di Dio, il vangelo della Croce, a dispetto di ogni apparente debolezza, è parola che attrae, coinvolge e convince, come Paolo ha sperimentato nella sua evangelizzazione. Non piegate la Parola al vostro servizio, ma mettetevi a servizio della Parola.
Voi accoliti, non guardate mai all’altare come a un palcoscenico su cu cui esibirsi, ma ricordate e testimoniate con la vita che l’eucaristia è la debolezza del Crocifisso che si fa pane per darci la forza di seguirlo sulla via della croce. Non strumentalizzate mai l’eucarestia, come fosse un piedistallo per la vostra immagine: gratuitamente l’avete ricevuta, gratuitamente datela.
Voi, ministri straordinari della comunione eucaristica, ponetevi a servizio dei malati e mettete a loro disposizione la forza dell’Amore di Gesù, che nulla riesce a scoraggiare ed è sempre più forte della violenza che subisce. Infatti, rifiutato da noi, Gesù muore per noi.
Fratelli, Sorelle, che state per ricevere il ministero, ascoltiamo il Signore che ora, attraverso Papa Francesco, ci chiama a conversione. Diamoci una mossa! Dio non vuole una casta di burocrati ‘arruolati’, cioè ossessivamente incollati alla poltrona del loro ruolo. Dio Padre sogna una famiglia di figli innamorati. Cristo non cerca una setta di impiegati perfetti e inappuntabili, ma di discepoli fedeli e appassionati. Cristo non recluta mercenari, non gradisce cortigiani, ma vuole ‘ministri’, cioè servi umili e disinteressati: servi del Servo del Signore, e di nessun altro. Perché servire lui è regnare. Non è strisciare, pancia a terra, come impone il protocollo dei grandi della storia. Servire Cristo è volare: se noi ci mettiamo a servizio dei poveri della terra, dei piccoli e puri di cuore, essi ci prestano le loro ali e ci fanno alzare in volo, verso Dio.
Incontrare Gesù e cambiare vita, non per interesse né per dovere, ma per amore: questo si chiama ‘conversione’.
Fratelli e Sorelle, dopo l’umile, coraggiosa rinuncia di papa Benedetto, lo Spirito Santo ci ha ancora una volta sorpreso con il dono del nuovo Papa. Questi sono giorni di stupore, da groppo alla gola. Rallegriamoci e facciamo festa! Ma, attenzione, l’elezione di papa Francesco non è solo una carezza attesa e gradita. E’ anche una scossa al cuore, che ci chiama a camminare dietro Cristo sulla via della croce. In questo Anno della Fede, ascoltiamo l’appello accorato del nuovo Vescovo di Roma per la riforma della Chiesa. Una riforma che comincia dalla conversione: non del superiore o del vicino, ma del nostro cuore, della nostra vita, della nostra comunità. Una conversione – la mia, la tua, la nostra – per la quale la miseria della Chiesa non può mai rappresentare un comodo alibi per essere ulteriormente rinviata.
Rimini, Basilica Cattedrale – 17 marzo 2013
+ Francesco Lambiasi