È passata una settimana dalla tragedia del naufragio di Cutro, decine di persone morte affogate: donne, bambini, neonati, uomini, giovani, provenienti dall’Afghanistan, dal Senegal, dalla Siria, dall’Iran, dal Pakistan. Fratelli e sorelle in fuga da situazioni diverse fra loro ma ugualmente invivibili, insopportabili, alla ricerca di situazioni normali, sicure.
Siamo tutti profondamente toccati nel cuore delle immagini che i media ci hanno proposto e sono certo che noi tutti abbiamo in qualche modo pregato, soprattutto per chi è rimasto ed ha perso i propri cari. Invito la nostra comunità cristiana riminese a pregare nelle sante messe di questa seconda domenica di Quaresima durante la preghiera dei fedeli e di lasciarci interrogare da quanto è successo e che sta succedendo. Io stesso mi chiedo in che modo queste vittime della disperazione hanno a che vedere con la mia vita e la nostra città.
In queste mie prime settimane romagnole ho potuto sperimentare che la capacità di accoglienza turistica del nostro territorio è anche accoglienza fraterna, soprattutto per chi è in difficoltà. Desidero ringraziare i genitori e le famiglie che hanno accolto, e in alcuni casi adottato nel loro nucleo familiare, bambini senza famiglia, orfani di guerra, abbandonati provenienti da paesi poveri o sconvolti dalla guerra. Questi genitori sono spesso andati incontro a situazioni di grande difficoltà, ma il loro gesto di amore fa bene a tutti noi e non sarà dimenticato da Dio.
Desidero ringraziare anche tutti coloro che, nelle scuole, nello sport, nelle associazioni, nelle parrocchie (insegnanti, allenatori, educatori, laici e religiosi), si spendono per un’integrazione capace di realizzare quanto chiesto da Papa Francesco fin dal titolo di una celebre enciclica: essere “Fratelli tutti”.
Il nostro territorio, specialmente nel periodo estivo, offre molte possibilità di lavoro legate al turismo, senza dimenticare l’industria, il commercio, l’agricoltura. Il nostro mare, le nostre spiagge, le nostre strutture ricettive e di ristorazione danno lavoro sia a italiani sia a stranieri. Sono certo che una buona parte degli stipendi dei nostri fratelli e sorelle stranieri vengano inviati ai loro familiari che vivono in Paesi molto meno fortunati di noi. In gran parte del mondo l’istruzione e la sanità sono a pagamento, non accessibili a tutti, diversamente da quanto accade a noi, fortunati privilegiati dalla Provvidenza. Dare lavoro anche a chi viene da lontano vuol dire dare speranza a tante persone, aiutare a non cadere nella disperazione, a non “salire sui barconi di Cutro”.
Desidero anche ringraziare i riminesi che danno la loro vita nei paesi poveri, in Zimbabwe, in Albania, in Mozambico, in Indonesia, nelle Filippine; nella nostra diocesi sono nati tre istituti religiosi femminili e altre associazioni che hanno missioni in molti paesi del mondo e con la loro presenza aiutano a non far cadere nella disperazione chi è vittima della carestia, della violenza e dell’ingiustizia.
Non posso non pregare perché al più presto finiscano le guerre in Russia, in Ucraina, in Africa, nel mondo intero; che le armi diventino inutili; che i soldi spesi per gli armamenti diventino ospedali, scuole, officine in Afghanistan, Iraq, Pakistan, Senegal, Siria, Nigeria, Libia e in tutti quei paesi da cui tanti fratelli e sorelle partono, strappando legami affettivi, rendendo difficile la possibilità di farsi a loro volta una famiglia, in mezzo a mille difficoltà.
Dio ha un progetto di felicità per ognuno di noi. Beato chi si impegna con lui per realizzarlo!
Rimini, 3 febbraio 2023
+Nicolò Anselmi