In memoria di Olga Carella
Omelia per la liturgia esequiale
Carissime Sorelle e Fratelli tutti,
vorrei condividere con voi qualche risonanza sulla parola del Signore che ci è stata appena proclamata. Ma mi ispira una gioia grata e commossa potervi confidare sottovoce anche qualche fotogramma del profilo della nostra amatissima Olga. Ho pensato di parlarvi di lei, andando a rileggere quasi in filigrana alcuni brani della sua vita. Una esistenza breve, segnata dalle aspre durezze della terra, eppure avvolta da una luce diffusa, limpida e dolce. Per questo vorrei tentare una penetrazione del suo vissuto, inquadrato come in controluce sulle letture di questa liturgia.
1. Dal rotolo del profeta Isaia vorrei evidenziare la parola banchetto: “Preparerà il Signore degli eserciti un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti… Eliminerà la morte per sempre” (Is 25, 6-9). Mentre dal vangelo dei due discepoli di Emmaus metto a fuoco la parola pane: “Lo riconobbero nello spezzare il pane” (cf. Lc 22,35). Con queste due parole – banchetto e pane – il pensiero mi si salda subito a Gesù e alla nostra cara sorella, di cui abbiamo conosciuto e letteralmente gustato il talento più marcato: quello della cucina e della buona tavola. Un talento che lei non investiva mai per fare bella figura o per un morboso culto della propria immagine. Ma lo impiegava sempre e solo per la gioia degli altri: per il nostro ben-essere, per rinsaldare un clima di serenità e di amicizia, in modo che anche pranzi o cene di lavoro si svolgessero in una cornice di stima e di reciproca fiducia.
Ora partiamo da Gesù. Le due parole appena citate – banchetto e pane – hanno impastato tutta la sua vita, a cominciare dalla nascita, avvenuta a Betlemme, un ‘toponimo’ (nome del luogo) che letteralmente significa “casa del pane”. Se poi riandiamo al racconto dei tre anni circa di vita pubblica del Maestro di Nazareth, lo vediamo punteggiato dai verbi mangiare, bere, sedere a mensa. Per questo Gesù si è guadagnato, agli occhi di scribi e farisei, la brutta nomea di “mangione e beone”, in contrasto con la fama di Giovanni Battista, che invece preferiva un ascetico menù francamente sgradevole: tutto a base di cavallette e di miele selvatico (Mt 3,4).
Ma è soprattutto nella moltiplicazione dei pani che Gesù si rivela come l’inviato di Dio, venuto ad imbandire per il suo popolo il banchetto messianico degli ultimi giorni. Nel racconto dell’evangelista Giovanni colpisce un dettaglio intrigante: un ragazzino, che doveva essersi intrufolato tra le prime file per vedere Gesù da vicino, avrà sentito il Maestro parlare con i discepoli di fame e di pane. Deve aver pensato che Gesù non aveva niente da mangiare, e con un balzo ha messo nelle sue mani il cestino che la mamma gli aveva preparato: cinque panini d’orzo e due pesciolini abbrustoliti. Cosa fa Gesù? Declina in anticipo i quattro verbi dell’ultima cena: prendere il pane, recitare la benedizione, spezzarlo e darlo a tutti. Sono gli stessi verbi dell’ultima cena e dei due di Emmaus: prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede. Verbi teneri e intensi, che hanno odore di terra e profumo di cielo. E fanno della vita un vangelo. Il vangelo di Gesù: dare il pane, farsi pane.
2. Torniamo ad Olga. Immagino la vita di questa Sorella come un ricamo intrecciato dai fili di una parola, tutta evangelica: gratuità. Che ci rimanda a Gesù: “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Mt 10,8). La vita di Olga risulta e risalta come abbracciata dal circolo virtuoso: ricevere-dare. Se il primo verbo dell’esistenza umana è ricevere – nessun figlio o figlia d’Eva può dire: “Io sono padre o madre del mio Io” – noi ci appropriamo della vita solo quando ce ne espropriamo. Vedi Gesù: “Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà” (Mt 10,39).
Il verbo che dà calore e colore, sapore e odore all’esistenza è il verbo amare. E amare non fa rima con il verbo dire, ma con il verbo dare. L’atteggiamento di fondo che la cara Olga ha vissuto nel suo viaggio terreno è stato quello di accogliere il dono della vita e di condividerlo con i compagni di viaggio: dai familiari agli amici, dai vescovi o preti ai seminaristi. In questa condivisione esistenziale era compresa tutta la sua umanità. Una umanità matura, che trova il suo apice più ancora che nel fare e dare il pane. Di più: nel farsi pane.
Per lei cucinare non era tanto un lavoro, né tanto meno un mestiere. Era un’arte. Con Sonia siamo testimoni di un suo sogno accarezzato per diverso tempo: fare il pane in casa. Ogni tentativo, che a noi sembrava più che perfetto, a lei risultava sempre con qualche difetto. La cosa le è riuscita proprio gli ultimissimi giorni, appena qualche sera prima del suo decesso. Fu quella sera che le raccontai di nuovo, senza neanche lontanamente sospettare che sarebbe stata l’ultima volta, un aneddoto che le ripetevo per dirle come sarebbe andata a finire la sua storia.
Succederà, le dicevo, che quando riceverai la chiamata per il santo viaggio e varcherai la soglia dell’aldilà, troverai davanti a te una fila interminabile di vescovi e cardinali, di preti, frati e suore, davanti a Nostro Signore, tutti in trepida attesa di ricevere la sentenza del giudizio finale. Ma quando la nostra santa madre Maria ti avrà adocchiato in fondo alla fila e ti avrà fatto notare al suo Figlio beneamato, allora lui proclamerà: “Beati gli ultimi perché saranno i primi” e ti inviterà ad andare avanti. A quel punto la fila si aprirà e in un batter d’occhio tu ti ritroverai davanti a Lui, che ti dirà: “Vieni, Olga, perché tu mi hai sempre imbandito piatti gustosi e dolci squisiti”. E tu, rossa e confusa, proverai a ribattere: “Ma io, mio dolce Signore, ho cucinato, certo, per seminaristi, preti, vescovi e anche qualche cardinale. E’ vero che i miei pranzi preferiti erano quelli del giorno di Natale e di Pasqua, per poveri e persone sole. Ma a te, Signore Gesù, io non ti ho mai visto alla nostra tavola”. “No, Olga, Sorellina cara, tutto quello che hai fatto ai miei fratelli, tu lo hai fatto a me. Vieni, entra nella gioia del tuo Signore”.
Per tutto l’amore che Olga ha investito nei circa trent’anni del suo servizio, prima ad Anagni nel seminario minore e in episcopio, poi a Roma alla Domus Mariae, infine a Rimini alla nostra mensa, il Signore Gesù è venuto a chiamarla alle prime luci della domenica delle Palme. Noi l’abbiamo trovata addormentata, proprio come lei stessa sognava di terminare il suo pellegrinaggio terreno: “andarsene in punta di piedi”. Non avrà fatto in tempo ad arrivare nella santa Casa del Padre, che si sarà subito infilata in cucina per preparare il banchetto a santi e beati, nella grande sala dove è Gesù stesso che passa a servire.
Così speriamo e per questo preghiamo.
Chiesa di s. Pietro, Carpineto Romano, 30 marzo 2021
+ Francesco Lambiasi