Omelia In memoria di Andrea Panconi
Carissima mamma Antonella e carissimo papà Gabriele, carissimi amici di Andrea, carissimi don PierGiorgio e confratelli, carissimi fratelli e sorelle della comunità pastorale e civile di Savignano, ci ritroviamo qui oggi, smarriti e sgomenti. Tutti assetati di una parola che spenga la sete del nostro spirito affranto e faccia ardere il nostro povero cuore, rimasto congelato dalla drammatica vicenda del nostro fratellino Andrea.
Permettetemi di dirvi in tutta sincerità: io non ho parole mie che siano all’altezza di tanto dolore. Mi trovo qui come voi, per condividere lo strazio di una situazione che ci supera da tutte le parti e ci fa piangere lacrime amare, rese ancora più crude e più tristi dal contesto pur sempre luminosodel Natale. Vorrei però condividere con voi un particolare, che si potrebbe definire come l’ultimo regalo di Andrea, raccontatoci da don Piergiorgio e che, per noi tutti accende una piccola, ma indiscutibile luce per uscire dal lugubre tunnel di questo Natale, edizione 2020. “Prevedendo la tristezza di questo Natale, Andrea voleva renderlo luminoso per tutti anche con un segno esteriore, e si è impegnato per abbellire e rendere splendente nella notte il campanile della nostra chiesa di santa Lucia. Quelle luci restano come il testamento di gioia, di festa! E’ con queste note positive che vogliamo ricordarlo”.
Ecco la luce del Natale: non è semplicemente la cornice di un quadro buio e cupo. E’ piuttosto la luce che ce lo rischiara tutto. Perché ci aiuta a rispondere alla domanda che ribolle da sempre nel cuore umano, e che in questi giorni si è fatta ancora più spinosa e pungente: che senso ha vivere se poi si deve vivere solo per morire?
Ecco la luce del Natale: la Parola fatta carne “illumina ogni uomo” che viene nel mondo, ci dice che noi siamo fatti così… Nasciamo tutti con una prepotente fame di immortalità. Entriamo nella vita con una insaziabile sete di bene e veniamo aggrediti dagli insulti indecenti del male. Più andiamo avanti negli anni e più ci morde la penosa sensazione di non bastare a noi stessi. Bramiamo più vita e ci avviciniamo sempre più velocemente alla morte. Eppure noi amiamo amare ed essere amati. Insomma nutriamo un sogno struggente e un bisogno bruciante di felicità. Ma prima o poi ci rendiamo conto che la lacerante nostalgia di Infinito, di Assoluto, di Eterno che ci avvampa in cuore è la firma di Dio al capolavoro che lui stesso vuole fare di ognuno di noi. Allora ci ritroviamo a dovere onestamente riconoscere che solo Dio può placare l’inquietudine che ci abita e irresistibilmente ci agita.
Ecco la luce del Natale. Gesù è venuto ad abitare in mezzo a noi. Per piangere le nostre lacrime. Per sudare il nostro sudore. Per amare con il nostro cuore. Per condividere tutto di noi, in “questa aiuola che ci fa tanto feroci” (Dante). Una cosa però gli mancava: entrare nel tunnel della nostra morte, attraversarlo tutto, raggiungerci là dove saremmo arrivati e stringerci a braccia spalancate. Per trascinarci con sé e portarci tra le braccia del Padre: il suo fortissimo, dolcissimo Abbà. E proprio perché non è sceso dalla croce, Gesù rimane in agonia fino alla fine del mondo (Pascal). Il suo restare in croce lo rende capace di decifrare un urlo di dolore come una straziante implorazione di aiuto. Gli permette di tradurre un drammatico gesto di abbandono nel commovente bisogno di un tenero abbraccio. Lo abilita perfino a decodificare un grido di diniego come una preghiera terminale di salvezza estrema, definitiva. Proprio perché Gesù ha rinunciato a salvare se stesso, può salvare tutti e ognuno di noi, quando per ognuno di noi tutti arriva l’ora dell’ultimo appuntamento: l’ora nona, il supremo istante della nostra morte.
Ecco la luce del Natale. Viene dalla Croce, ma comincia a risplendere nella notte di Natale. Quando “è apparsa la grazia – l’amore gratuito, a prescindere da ogni se e da ogni ma – di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini” (Tt 2,11). Quando è nato il Bambino che, facendosi mortale, ha guarito la nostra mortalità, e con la sua risurrezione “ha fatto risplendere la Vita” (cf. 2Tm 1,10).
Ecco la luce del Natale. In una situazione analoga, mi hanno fatto scoprire una canzone intitolata “La notte splenderà”. Sì, oggi Andrea ci dice che la sua e la nostra notte splenderà. Anzi l’alba, un’alba senza tramonto, è già sorta, grazie alla luce sfavillante della parola di Gesù. “Questa è la volontà del Padre mio che mi ha mandato. Che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma lo risusciti nell’ultimo giorno” (Gv 6,39). Ecco la famosa e spesso incompresa espressione “volontà di Dio”. Per Andrea, come per tutti noi, a volere la morte non è stato Dio. Ma Dio ha voluto che la fine della sua vita fosse l’inizio di una vita senza più fine. Insomma per Andrea, a finire, è stato solo il ‘primo tempo’. Un tempo breve, molto breve, certo. Ma Dio ha voluto che per lui cominciasse subito il secondo tempo, quello che non finirà mai. Mai. Mai più. più.
La notte splenderà. Andrea oggi ci insegna ad avere più paura di una vita sprecata e sbagliata che di una vita bella, anche se accorciata dalla morte. Lorenzo ci ricorda che dobbiamo avere paura più di una vita incolore, inodore, insapore che di una vita breve ma piena di bene, aperta alla luce e alla gioia.
La notte splenderà. E noi tutti formeremo una grande comunità. Come questa di oggi, perché oggi viviamo un dolore grande, ma con un più grande, incontenibile amore fraterno. E un giorno formeremo una grande famiglia, ma con la felicità di una fraternità, senza più né lutto, né dolore, né pianto.
La notte splenderà. Caro Andrea, dai. Lanciaci un assist tutti i giorni, fino a quando non verremo anche noi lassù, quando anche per noi la notte splenderà. E non ci sarà più nessun black-out.
Né per Savignano, né per tutta l’umanità.
Chiesa di Santa Lucia – Savignano, 28 dicembre 2020
+ Francesco Lambiasi