Omelia per la Messa della Notte
Un bambino tenero e scomodo. Piuttosto facile credere in un Dio lontano, da poterselo tenere buono con qualche fastoso, sofisticato rito sacro. Da accattivarselo con qualche inerme agnellino da offrirgli in sacrificio. Piuttosto automatico contare su un Dio distante, pensato come un algido essere perfettissimo, ma lontanissimo da questa nostra storia fangosa e ingarbugliata.
1. Ma quella notte a Betlemme il buio è stato squarciato da una luce avvolgente. E un silenzio profondo e come sospeso non ha potuto inghiottire quell’annuncio di gioia: “Oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore”.
“Oggi, un salvatore, per voi”: ecco il cuore dell’annuncio. Ed ecco il segno offerto a riprova del messaggio. Sorprendente nella sua piccolezza. Stupefacente nella sua semplicità. Sconcertante nello scarto tra annuncio e oggetto della contemplazione. Il Salvatore e Messia è indicato in un bambino, avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia. Ecco la luce del Natale: l’infinitamente lontano si è fatto vicino. L’eterno ha varcato la soglia del tempo. L’altissimo si è incurvato. L’immenso si è rimpicciolito per farsi concepire, per nascere e farsi abbracciare.
E’ così che la luce del mondo annunciata dal profeta appare come una luce limpida, calda, gioiosa. Illumina, ma non abbaglia. Rivela, ma non acceca. Dio che si fa uomo non pretende sconti. Non si assicura scorciatoie. Non esige privilegi. Non viene sulla terra con passo spavaldo. Non entra nel mondo a gamba tesa.
Si inserisce nell’umanità in modo umano. Di più: si introduce nella storia per ultimo e per gli ultimi, in assoluta umiltà e radicale povertà. In una stalla, non in una reggia. Nel silenzio, non nel clamore. Viene per uno sparuto gruppo di poveri pastori, considerati ‘scartati’, addirittura ‘impuri’.
2. Shock assoluto! Ma come può Dio, l’onnipotente, manifestarsi nella carne di un neonato fragile e bisognoso di tutto? Come può Dio, che rischia di rimanere impigliato in balia delle manovre dei potenti, sconfiggere il male che appare così sfrontato, brutale e tanto agguerrito?
Di più. In cosa consiste la salvezza del Bambino-salvatore, se ben poco è cambiato in questi duemila anni: se si soffre ancora, se si muore ancora, se ancora si rimane smarriti e sgomenti per tanta, troppa! ingiustizia che ancora domina il mondo?
Il Natale ci autorizza a rispondere così: questo ‘scandalo’ dipende dal fatto che il modo scelto da Dio per salvarci non è stato quello della forza, ma della debolezza. Non della sapienza, ma della stoltezza. Non della potenza, ma della povertà. E, soprattutto, quello della condivisione.
E’ un po’ la differenza che c’è tra un luminare della medicina e una persona cara: un fratello, un amico. Il luminare qualche volta risolve il problema, riesce a guarire. Il fratello, l’amico – se sono veramente tali – ci rimangono accanto anche quando il problema non si risolve. Semplicemente lo condividono con noi. Ne fanno parte della loro stessa vita quotidiana. Il luminare può aiutare qualche volta. La persona cara rimane sempre al tuo fianco, anche quando, risolto un problema, ne sorgono altri. Dio ha scelto il secondo modo – tra i due appena ricordati – non perché non voglia aiutarci nei nostri affanni e malanni quotidiani. Ma perché vuole fare, anzi vuole essere ben di più per noi: appunto un fratello, un amico. Per cui non ci dà semplicemente un aiuto, o qualcosa. Ci dona tutto: se stesso.
Ora sappiamo che, comunque vadano le cose nel mondo e nella nostra vita, Gesù è e resta l’Emmanuele, il Dio-con-noi. E’ al nostro fianco, e non ci abbandonerà mai. Mai.
Perché quel Natale, avvenuto una volta, vale una volta per tutte.
Rimini, Basilica Cattedrale, 24 dicembre 2020
+ Francesco Lambiasi