Omelia del Vescovo per la festa della beata M. Rosa Pellesi
Avvento è parola che ha la stessa radice di avventura, e dice capacità di schiudersi alle cose che av-verranno (ad venturas) e che in fondo hanno un solo nome, quello di Gesù, “il-Signore-che-viene”. Avvento è l’avventura di un incontro. Dio e l’uomo sono due appassionati cercatori che spasimano per incontrarsi. Ma per riuscire a ritrovarsi, devono ambedue convertirsi. Debbono fare una reciproca inversione ad U: Dio verso l’umanità, e l’umanità verso Dio.
Dio però si converte discendendo. Così implora Isaia con quel sospiro straziante: “Se tu squarciassi i cieli e scendessi!”. Ora se il verbo della conversione per Dio è discendere, per la creatura non è affatto ascendere. Non è dare la scalata al cielo. E’ Dio che prende l’iniziativa e si mette in cammino. Come il pastore che si muove alla ricerca della pecorella perduta. Per la creatura, invece, convertirsi è accogliere. Perché Dio non si acquista né si conquista. Dio si aspetta e si ospita. Per questo occorre vegliare e prepararsi ad accoglierlo.
Nel giro breve di appena cinque versetti l’imperativo vegliate risuona squillante come un acuto di tromba per ben tre volte nel frammento tratto dal vangelo di Marco (13, 33-37) all’inizio, al centro e alla fine del brano: “Vegliate, perché non sapete quando è il momento” (v. 33). “Vegliate perché non sapete quando il padrone di casa ritornerà” (v. 35). “Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!” (v. 37).
Ma che significa vegliare?
Vegliare è ricordare. Più che ricordare quello che noi abbiamo fatto per Dio, che è sempre piccolo, poco e sporco, è destare il ricordo di quello che Dio ha scritto sulle nostre righe storte. E più che congelare i frutti del passato, è scongelare i semi del futuro. Altrimenti il ricordare finisce per coincidere con il rimpiangere.
Vegliare è ricominciare. Non è ripetere. Né ritornare all’indietro. E’ ripartire. Ma senza andare in automatico, a colpi di impegni frenetici, di attività convulse, di corse isteriche. Ricominciare non è affannarsi dietro programmi, piani e ‘multipiani’ di lavoro, come se fossimo noi i protagonisti del tempo che ci è dato e che ci illudiamo di piegare, di controllare, di condizionare.
Vegliare è vigilare. Perché i successi della scienza e della tecnica non finiscano per nutrire in modo ipertrofico i nostri miraggi di potenza. Per gonfiare a dismisura i nostri deliri di onnipotenza. Per illuderci di poter tenere la vita in pugno. E non accorgerci di essere salpati su una nave di inguaribili sonnambuli.
Vegliare è vagliare. E’ discernere. Il discernimento ci è particolarmente necessario per smascherare i nostri idoli: la schiavitù della ricchezza, la sete di prestigio, il piacere egoistico, il culto ossessivo della propria immagine. Ma non si può discernere senza vegliare. Non si può scegliere di andare per una strada o per l’altra se siamo attanagliati dalla paura, se abbiamo gli occhi del cuore annebbiati dalla rabbia, se ci lasciamo ipnotizzare dall’ansia o dall’angoscia.
Vegliare è sperare. E’ resistere alla duplice, subdola tentazione: della disperazione o della rassegnazione. Perché la disperazione ci ammazza, la rassegnazione ci paralizza. Solo la speranza ci impedisce di sprofondare nelle sabbie mobili dei rimpianti del passato e fornisce olio di fiducia alla nostra lampada per squarciare l’oscurità del presente, “finché non spunti il giorno e non sorga nei nostri cuori la stella del mattino” (2Pt 1,19).
Più che un pensiero sulla Beata M. Rosa Pellesi, vorrei ora formulare un augurio di buon Avvento a tutti voi, Sorelle Francescane Missionarie, alle vostre Consorelle di altre Congregazioni qui presenti e a tutta l’Assemblea liturgica qui radunata, prendendo di peso un frammento da una sua lettera in occasione dell’Avvento 1968:
“Ti faccio gli auguri per il santo Avvento: che sia un rinnovamento sincero della nostra vita, un passo avanti nella dimenticanza di noi stessi e un fare sempre più largo alla vita di Dio in noi. Che la Mamma ci aiuti e interceda per noi una viva fede: una fede desta che ci ricordi questo nostro proposito di rinnovamento in tutti i momenti, specialmente in quelli più difficili. Il tempo passa presto.”
Rimini, chiesa di s. Agostino, 28 novembre 2020
+ Francesco Lambiasi