Omelia tenuta dal Vescovo nella s. Messaper l’istituzione dei ministeri
Quando pensiamo a quel giorno – il giorno del Signore – ci prende la paura. Quando con la mente voliamo a quell’ora – l’ora del giudizio – cominciamo a sentire brividi e batticuore. Eppure quel giorno e quell’ora non rappresentano una spaventosa minaccia. Non raccontano una terrificante rappresaglia. Pertanto anche questa pagina di vangelo è buona notizia. Appunto, ‘vangelo’. Perché in fondo queIl’esame finale è già in corso. Quel giorno è già oggi. L’allora è già ora. In fondo quel re-giudice è e resta pur sempre il nostro misericordioso Signore.
1. E’ il Gesù “povero e servo” (Don Oreste) che nella sua vita terrena “da ricco che era si è fatto povero per arricchirci con la sua povertà” (cf. 2Cor 8, 9). Gesù è vissuto da povero, con i poveri, per i poveri. Mai egli si chiuse alle necessità e alle sofferenze dei fratelli. Allora si è fatto servo dei poveri. Ora vive nei poveri. Nei poveri è un re che oggi ed ora ha fame e sete. Nei poveri è senza né vestito, né tetto, né pane. Nei poveri è carcerato e sofferente. E’ un bambino affamato che piange. E’ un disoccupato triste e disperato. E’ una donna calpestata e violentata. Un omosessuale discriminato. Un giovane scartato. Un immigrato respinto. Un vecchietto bisognoso e abbandonato. Una vecchietta sola e desolata. Nei poveri oggi è un re che desidera un sorriso. Ha bisogno di una parola amica. Di una carezza in volto. Di una consolazione in cuore.
“Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”, risponderà il Signore a chi gli chiederà alla fine, quando mai l’ha visto, aiutato, soccorso. Il giudizio che il re farà di noi “allora” – a quell’ora – è lo stesso che noi facciamo oggi ed ora al povero. In realtà siamo noi a giudicarlo, accogliendolo o respingendolo. Lui non farà altro che constatare ciò che noi facciamo. Ce lo dice in anticipo per aprirci gli occhi su ciò che stiamo facendo oggi e ora. Nella sua vicenda terrena è venuto a servire i poveri. Ora ha bisogno di essere servito lui nei poveri. Lo capiamo dalla confessione disarmata di quelli che stanno alla sua sinistra: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato… e non ti abbiamo servito” (v. 44). (La traduzione precedente riportava: “ti abbiamo assistito”), ma qui il verbo è diakonein, il verbo della diakonia e dei diaconi). Servire o non servire i poveri equivale a servire o non servire Lui.
Così, più che davanti alla prospettiva futura ci troviamo davanti all’aspettativa di una carità nel presente. Pertanto attendere la sua futura venuta nella gloria implica celebrare la sua umile presenza nella storia, evitando sia di rimanerne schiacciati sia di restarne fuori.
Ma che strano re è questo! Ben diversamente da quello che accade ai re e ai premier di questo mondo, è un re che ha provato fame e sete, è stato forestiero, nudo, malato, carcerato… Ma da quando a un re capitano queste cose? Da quando lui si trova ad affrontare tutte queste situazioni penose, di estrema fragilità e debolezza, situazioni di triste disagio, in cui ha bisogno di aiuto, di pronto soccorso?
Strano re, ma anche strana gente! Gente che sfama, disseta, veste, ospita, visita, senza averlo riconosciuto, ma solamente perché mossa a compassione di fronte alla sofferenza, alla fatica di vivere, ai malanni e alle tragedie della vita. Strana gente, che non ha dato per interesse o per contraccambio. Ha dato generosamente, gratuitamente. Ha dato “gratis”, non “amore Dei”.
2. Ma voi sorelle, fratelli, siete qui, perché lo avete riconosciuto, e avete riconosciuto anche la sua fame e la sua sete, nella fame e nella sete di tanti fratelli, di tante sorelle. Non fame di pane e sete d’acqua, ma una fame ancora più acuta, una sete ancora più ardente. Fame e sete di Dio. Fame della sua parola e del suo pane. Fame del suo corpo, sete del suo sangue.
Mi rivolgo ora a voi, ministre e ministri straordinari della Parola di Dio, e a voi lettori. Voi siete i servi della Parola.
Beati voi che vi siete innamorati della Parola, perché siete come dei mendicanti che dicono ad altri mendicanti dove insieme potranno trovare da mangiare: alla mensa della Parola.
Beati voi che avete capito che gran parte della nostra pastorale è caduta nel tranello di Marta: fare, fare, fare. E l’ascolto, dove è andato a finire? Se manca l’ascolto, si finisce per non sapere più cosa fare. Marta è stata rimproverata da Gesù non per il servizio che stava svolgendo, ma per i molti, i troppi servizi.
Beati voi se non vi riempite di cose da fare. Il Signore non vuole dei facchini sgobboni – diceva don Oreste – vuole dei discepoli innamorati. Il fatto è che, siccome siamo rimasti in tre, vogliamo fare il lavoro di quando eravamo trentatre. Ma è un delirio.
Beati voi se non dimenticherete mai che in pastorale, fare soltanto non bisogna. Non bisogna, non basta, non serve.
Beati voi se saprete trovare il modo di ascoltare e di ascoltarci: ascoltare Dio, ascoltare la gente, ascoltarci tra di noi. “Beati quelli che ascoltano la parola di Dio, e la mettono in pratica!”.
Ed ora chiudo con una sola parola per voi accoliti e per voi ministre e ministri straordinari della comunione eucaristica.
Beati voi che avete capito che vivere l’eucaristia è imparare a lavarci i piedi gli uni gli altri, perché questo è il gesto di quelli hanno imparato ad amarsi gli uni gli altri (cf Gv 13,14.34). La vostra vita si caratterizza per questa attenzione privilegiata al servizio. In certe epoche il lavare i piedi è stato preso alla lettera, quando agli ammalati, ai pellegrini e ai poveri in genere, si lavavano e si baciavano i piedi perché quelle persone rappresentavano Gesù. I poveri e gli ultimi venivano considerati ‘vicari di Cristo’.
Un’ultima beatitudine riguarda tutti e ciascuno di voi, ministre e ministri che state per essere istituiti, e la prendo dall’etimologia di questa parola che tutti vi abbraccia: ministro. Deriva dal latino, e precisamente dalla radice minor, minus, che significa meno, come magister deriva da magis che significa più. Pertanto ministro si oppone a maestro.
Beati voi, Fratelli tutti, se respingerete come tentazione impura ogni ambizione a posizioni di prestigio, al podio del vincitore, alla tribuna del primo in classifica. Beati voi se nella Chiesa non vi atteggerete mai a maestri, perché uno solo è il vostro maestro, il Cristo, e voi siete ugualmente e cordialmente tutti fratelli. Fratelli tutti!
Parola di Gesù di Nazaret. Parola di Francesco d’Assisi. Parola di Francesco di Roma.
Rimini, Basilica Cattedrale – Solennità di Cristo re – 22 novembre 2020
+ Francesco Lambiasi