Omelia in memoria di don Giorgio Dell’ospedale
“Purifica, Signore, il mio cuore e le mie labbra, perché io possa degnamente annunciare il tuo vangelo”: è la preghiera del diacono, prima di proclamare il santo vangelo. Permettetemi di farla mia, perché interpreto questa mia omelia come la proclamazione di quello che si potrebbe chiamare un brano del ‘quinto vangelo’. Il vangelo scritto non da uno dei quattro evangelisti, ma dalle varie generazioni di cristiani lungo i secoli. E per questo mi aggancio al vangelo secondo Marco, appena proclamato, scelto dai giovani della parrocchia, perché era il preferito da don Giorgio. Ma c’è da dire pure che i nostri giovani amici hanno anche intuito che in queste righe si trova il segreto della vita di don Giorgio e dei suoi 47 anni di ministero pastorale nella parrocchia degli Angeli Custodi.
1. Ecco il segreto di don Giorgio. Il brano evangelico proclamato dal diacono racconta la conclusione della sequenza del cosiddetto ‘giovane ricco’. Quel tale che prima aveva incantato Gesù, ma poi se ne era andato via triste “poiché possedeva molti beni”, aveva finito per provocare nel Maestro un lamento amaro: “Quanto è difficile per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!” (Mc 10,23). A quel punto è scattata la domanda di Pietro sul risarcimento dovuto a quanti hanno lasciato tutto per seguire il Maestro di Galilea. La risposta di Cristo è, come sempre, in-credibile e sorprendente: il centuplo “già ora in questo tempo e la vita eterna nel tempo che verrà”. Le parole di Marco non sono una risposta retorica, formulata con ingenuo ottimismo. Egli infatti si affretta a precisare “insieme a persecuzioni”. Comunque l’opinione del Cristo non ammette dubbi di sorta. La sequela non è strada di morte, ma di vita. Non è povertà, ma ricchezza. Non è perdita, ma guadagno. Non è infelicità e noia, ma gioia e irreversibile felicità.
2. Ecco il segreto di don Giorgio: se lasci tutto, avrai il Tutto. Se il giovane Giorgio rinuncia a dei figli tutti suoi, ne avrà tantissimi. E ben più di cento. Anzi addirittura la bellezza del cento per cento. Se rinuncia a formarsi una famiglia tutta sua, ne avrà moltissime, e ben più di mille. Basti pensare a tutte le coppie da lui unite in matrimonio nei suoi 47 anni di parroco agli Angeli Custodi. E non ci basterà una calcolatrice per riuscire a contare i tantissimi bambini che avrà incontrato nei 47 mesi di maggio dei suoi anni di parroco. E quando a Natale celebrerà la Messa di mezzanotte nel Palazzetto dello Sport, raccoglierà ben tremila persone per un totale, dal 2012, di ben 24mila, una cifra stratosferica che neanche il Vescovo di Rimini riuscirebbe, a radunare per assurdo in 47 anni di episcopato. Ma se questi numeri a molte cifre di don Giorgio corrispondono ad altrettanti volti, allora il calcolo non va fatto solo in termini quantitativi. Va fatto in termini qualitativi. Perché una comunità si costruisce attraverso una rete di relazioni. Attraverso uno spessore di umanità che si forma vivendo con cuore aperto e sincero. Capace di riscaldare il cuore alla gente, camminando nella notte con loro, dialogando con le loro illusioni e delusioni, senza disperdersi e precipitare nell’amarezza. Un cuore capace di toccare e ricomporre le disintegrazioni altrui, senza lasciarsi sciogliere e scomporsi nella propria identità sacerdotale.
3. Ecco il segreto di don Giorgio. Ridurre questo fratello a grande organizzatore è affibbiargli una caricatura che non solo sarebbe ingenerosa, ma risulterebbe ingrata e profondamente ingiusta. Perché questo nostro fratello non aveva in testa la parrocchia come azienda da gestire. La sua pertanto non è stata una pastorale puramente organizzativa, ma comunionale e perciò eminentemente generativa. Il primo impatto che ebbi con lui, appena qualche domenica dopo il mio arrivo a Rimini come nuovo vescovo, fu quello della festa parrocchiale di fine settembre. Ne rimasi felicemente sorpreso. Mi apparve non come la festa di una parrocchia, ma come la celebrazione di una bella comunità cristiana. Cosa impossibile se don Giorgio non avesse svolto il servizio dell’ascolto, compresa la capacità di ‘perdere tempo’ con pazienza e disponibilità. Compreso il saper donare attenzione, comprensione e ‘cuore’ alla persona dell’altro. Questo è il primo servizio a cui un prete non può sottrarsi. Ne misura la passione pastorale, la capacità di lasciarsi interrogare dalle situazioni in cui vive la sua gente, la disponibilità a portare insieme il peso della sofferenza che la provano. Un vero pastore è sempre pronto a tenere l’orecchio nel cuore di Dio e la mano sul polso del tempo. Perché se la vita pastorale non mirasse all’incontro con Dio, resterebbe un affanno inconcludente. E se poi la vita interiore non portasse ai fratelli e alle sorelle, si risolverebbe in una evasione sterile.
4. Ecco il segreto di don Giorgio: l’amicizia con il Signore. Se oggi avessimo potuto proclamare non uno, ma due brani di vangelo, ecco quello che avrai scelto per il mio fratello e amico don Giorgio. “Simone, figlio di Giovanni, mi ami tu?”. La domanda di Gesù non indaga prima di tutto abilità e competenze di Simon Pietro. Gesù non gli chiede se ama le pecore del gregge di Dio, e non gli dice: “Allora, pascile!”. Ma gli domanda se ama lui, Gesù in persona, il grande Pastore delle pecore: Allora sì che gliele affida. Scrive papa Francesco: “Il segreto del presbitero sta in quel roveto ardente che ne marchia a fuoco l’esistenza”. Di questi tempi di pandemia noi preti ci andiamo interrogando su qual è l’essenziale nel nostro servizio pastorale. Ecco, se non vogliamo appiattire l’essenziale sul minimale, allora don Giorgio ci ricorda che non esiste un pascere che non sia sostanziato dal rimanere in Lui. Ma allora si verifica il miracolo, qual è la dedizione appassionata e ardente di un pastore innamorato: innamorato del Pastore buono e del gregge che da lui gli è stato affidato.
Adesso non ditemi che la sparo grossa. Io credo che in quel momento estremo del ‘fine-corsa’, prima di imboccare il rettilineo del paradiso, il Signore chieda a un prete se è disposto a offrire la propria vita in cambio della vita anche di una sola pecorella del suo gregge. O se invece preferisca fare una ‘inversione ad U’.
Io credo che don Giorgio, alla richiesta del Signore, non abbia potuto dire altro che: “Eccomi, Signore, prendi me”.
Grazie, don Giorgio!
Riccione, Stadio comunale, 3 novembre 2020
+ Francesco Lambiasi