Omelia per il mandato
Gesù insegna. Ma non come gli scribi. I quali insegnano e annoiano. Insegnano e umiliano. Insegnano e spaventano. Gesù insegna raccontando storie. Sono le parabole. Non sono storie costruite per stupire, bensì per convertire. Più per smuovere che per commuovere. Non per illudere, ma per scuotere e svegliare.
1. Come questa parabola del ricco stolto (Lc 12,13-21). Il protagonista è un latifondiario sfondato e ingordo, che si parla addosso e sa dire solo e sempre il pronome della prima persona singolare ‘io’: “Io demolirò, Io costruirò, Io raccoglierò, Io dirò a me stesso…”. E usa sempre e solo l’aggettivo possessivo ‘mio’: “i miei beni, i miei raccolti, i miei magazzini, anima mia”.
E’ un uomo murato vivo, anzi moribondo, nella prigione dorata della propria solitudine. Si ritiene intelligente e sapiente, ma in realtà è un insipiente e non ha capito un bel niente. E’ un povero illuso. Un insaziabile arrivista, andato fuori di testa. Non ha ancora incominciato a costruire granai e silos che già pensa a demolirli, per poi ricominciare a ricostruirli. La sua vita ha imboccato una gimkana maniacale. Lavorare per guadagnare. Guadagnare per comprare. Comprare per consumare. E poi…? Fino a qualche anno fa su un muro laterale della nostra università ho trovato un graffito spietato, amarissimo: “Produci – Consuma – Crepa”.
Gesù non demonizza la ricchezza in se stessa, ma denuncia senza mezzi termini la cupidigia, letteralmente la “voglia di avere (sempre) di più”. Illusione mortale! pensare che “più ricchezza” è uguale a “più felicità”. Invece – dice Gesù – è esattamente il contrario: più hai e più puoi, più puoi e più vuoi, più vuoi e meno hai, perché vuoi avere sempre di più, ma poi, alla resa dei conti, il di più ti mancherà sempre… di più.
Al contrario la felicità non dipende da ciò che uno ha, ma da ciò che uno dà. Il piacere del possesso è vorace: più ci si investe, più ti devasta. Più lo soddisfi, meno ti appaga. Perché più possiedi, più sei posseduto. C’è da meravigliarsi se il risultato di tanta ansia per avere-sempre-di-più si sia poi tramutata in altrettanta angoscia perché si potrebbe avere-ancora-di-più?
In fondo questo è l’esito dell’idolatria di mammona, “la ricchezza ingannevole”. Mammona è un idolo che prima illude e poi delude, e non si deve mai dimenticare che alla radice di questa parola ebraica c’è il verbo aman, credere. Come a dire, o credi in Dio o fai di mammona il tuo dio. O il Signore diventa l’unico tuo bene oppure ogni altro bene diventa il tuo unico signore.
2. Questa è la sapienza che dà letteralmente sapore alla nostra esistenza. Grazie, sorelle e fratelli, perché a questa sapienza voi ispirate la vostra vita e il vostro prezioso, insostituibile servizio: aiutare bambini e ragazzi a liberarsi della grande, triste bugia, che riduce ogni bene terreno a un idolo che prima ti strega e poi ti… ‘frega’. Mentre invece il Vangelo di Gesù ce lo fa apparire come un dono ricevuto, perché a nostra volta possiamo farne un dono con-donato e con-diviso.
Grazie a voi catechiste, catechisti, perché condividete con bambini, ragazzi, giovani e adulti, le certezze che brillano nelle ultime righe del brano della 1.a lettura (Ef 2,4-6).
Noi siamo gli amati. Amati non perché amabili, ma amati e perciò amabili e innamorati. La nostra amabilità e il nostro innamoramento non sono la condizione per essere figli amati dal Padre, ma la sua inevitabile, fortunata conseguenza. Grazie perché il primo dono che voi condividete con i vostri bambini e ragazzi è farli sentire amati e perciò capaci a loro volta di amare Dio Padre e i fratelli.
Noi siamo i salvati. Bisognerebbe averne fatto esperienza, essere stati strappati qualche volta nella vita da morte sicura, per comprendere cosa vuol dire essere stati salvati, anche solo per questa nostra povera, breve vita terrena. E salvati per grazia, non perché ce lo siamo meritato, ma perché siamo stati amati gratis, a prescindere.
Noi siamo i mandati. Il vostro mandato stasera non viene dal Vescovo. Viene, certo, attraverso il Vescovo, e però in ultima analisi viene da Dio stesso. Dio non si è ancora stancato di darci fiducia, e di farci volare sulle due ali della speranza e del coraggio. Gesù ci invia, ma mantiene la promessa: mentre ci dice “Andate”, ci rassicura: “Io sono con voi tutti giorni, fino alla fine”. Non ci vuole come dei facchini sgobboni, ma come degli innamorati chiamati a servire. E basta.
Amati, salvati, mandati: che questo davvero ci basti!
Rimini, Basilica Cattedrale, 19 ottobre 2020
+ Francesco Lambiasi