Omelia del Vescovo per la festa del beato A. Marvelli
“Desiderate i carismi più grandi. E allora vi mostro la via più sublime” (1Cor 12,31). Questo recita il versetto introduttivo al brano dell’elogio all’amore, che abbiamo ascoltato poco fa, dalla prima lettura. Se ci domandiamo qual è allora la via maestra dell’esistenza cristiana, la risposta non può che essere: la carità.
Nell’inno paolino all’amore, Paolo formula un messaggio assoluto, categorico, totalizzante, e adopera un linguaggio radicale, tassativo, a taglio netto. “Se non avessi la carità, non sarei nulla”. “La carità non è invidiosa. Non si vanta. Non si gonfia di orgoglio. Non manca di rispetto. Non cerca il proprio interesse. Non si adira”. “Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta”. “La carità non avrà mai fine”.
Ora, più che addentrarci dentro l’inno paolino alla carità, vorrei andarci dietro attraverso tre ‘sorprese’, che ne mostrino la radice, il frutto, il contesto contemporaneo.
1. La radice della carità o amore cristiano viene espressa in modo telegrafico dall’apostolo Giovanni: “Dio ci ha amati per primo” (1Gv 4,19). Anzi, precisa Paolo: Dio dimostra il suo amore “mentre (gli) eravamo ancora nemici” (Rm 5,10). E noi “abbiamo riconosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi” (1Gv 4,16). Il primo riscontro a un evento tanto in-credibile è la stupita, grata e quasi incredula sorpresa della nostra fede.
Sembra, questa della fede, una cosa facile. Invece è tra le più difficili. “Noi abbiamo creduto all’Amore”: è un grido per il quale bisogna raccogliere tutte le nostre forze e farsi quasi violenza. Noi, esseri umani, siamo istintivamente portati ad essere più attivi che passivi, più a fare che a lasciarci fare. Non vogliamo minimamente essere in debito. Ma così si opera insensibilmente uno slittamento e un capovolgimento: al primo posto, in cima a tutto, invece del dono, viene messo il dovere. Al posto della grazia, la legge. Al posto della fede, le opere. Al posto della benevolenza di Dio, la nostra buona volontà. Forse una traccia di questa tendenza è la vecchia traduzione del Gloria: “Pace in terra agli uomini di buona volontà”. Mentre la nuova traduzione rende più fedelmente il testo greco con: “Pace in terra agli uomini amati dal Signore”. Esistono trattati sul dovere e sul modo di amare Dio, mentre non se ne conosce nessuno sull’amore-carità di Dio per noi. Quasi sempre quando si parla dell’amore di Dio, è Dio l’oggetto e il destinatario del nostro amore per lui. Non il soggetto del suo amore per noi.
2. Seconda sorpresa: il frutto dell’Amore. “Se Dio ci ha amati così, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri” (1Gv 4,11). E’ la conseguenza stupefacente che tira l’apostolo Giovanni. Qui si vede come l’evento fondi il comandamento. Ma quale comandamento? Ci si potrebbe aspettare che, se Dio ci ha amati così, la conseguenza sia che anche noi dobbiamo amare lui. E invece anche qui registriamo una sorpresa. La conseguenza dell’immenso amore di Dio per noi è che noi dobbiamo amarci tra fratelli, gli uni gli altri. Certo, Dio è sempre il primo destinatario del nostro amore. Ma il primo beneficiario è sempre il prossimo, il fratello. L’amore per il prossimo non è un regalo che gli facciamo, ma un debito che gli rendiamo: “Non siate debitori di nulla a nessuno, se non dell’amore vicendevole (Rm 13,8). Pertanto ognuno dei fratelli che bussa al tuo cuore è un creditore che esige il suo debito.
3. Terza ed ultima sorpresa è il contesto moderno dell’Amore. La nostra epoca ha segnato una svolta nella storia della povertà e della carità cristiana. Si è preso atto che non basta provvedere caso per caso al bisogno dei poveri e degli oppressi, ma occorre agire sulle strutture che creano i poveri e gli oppressi. Pertanto non basta mostrare la carità come ispiratrice dell’azione individuale, ma anche come forza capace di suscitare nuove vie per affrontare i problemi del mondo d’oggi e per rinnovare profondamente dall’interno strutture, organizzazioni sociali, ordinamenti giuridici. In questa prospettiva la carità diventa carità sociale e politica: quella carità che ci fa amare il bene comune e fa cercare effettivamente il bene di tutte le persone, non solo individualmente considerate, ma anche nella dimensione sociale che le unisce. Oggi questa carità assume le proporzioni di una vera e propria questione sociale mondiale. Vedi la globalizzazione.
Della carità sociale e politica Alberto Marvelli è stato testimone credibile. E convinto, coerente, appassionato protagonista, al punto da essere definito “ingegnere manovale della carità” (Fausto Lanfranchi).
Chiediamo al beato Alberto di non lasciarci in pace, fino a quando non ci saremo convinti che non c’è rinnovamento anche sociale, che non parta da una generosa risposta alla chiamata alla santità. Che l’autentica azione politica è servizio per il bene comune, con trasparenza e competenza. Che sarà possibile salvarci dalla pandemia solo insieme, solo se vivremo da sorelle e fratelli. Tutti.
Rimini, S. Agostino, 5 ottobre 2020
+ Francesco Lambiasi