Un prete ‘misericordiato’ e misericordioso
Omelia tenuta dal Vescovo nella Messa esequiale in sua memoria
Parlare di un prete come don Elio è un po’ come fare una ‘caccia al tesoro’. L’immagine mi viene ‘soffiata’ nel cuore dal divino Soffio, lo Spirito Santo, attraverso san Paolo, il quale parlando di sé e dei suoi collaboratori, afferma testualmente: “Noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi” (2Cor 4,7). Fuor di metafora, il vaso di creta è ognuno di noi e ognuno dei nostri fratelli o sorelle. Nel nostro caso, è il caro, indimenticabile ‘Don’.
1. Ma qual è il tesoro specifico da estrarre da quel vaso, firmato “Elio Piccari”? E’ Gesù, presente “non da remoto”, ma in persona, nella persona del ‘Don’. Come per san Paolo, il quale poteva affermare di se stesso: “Non vivo più io, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20). Un Cristo misericordioso vivo, vitale, inesauribilmente vivace e vivificante nella vita di un prete ‘misericordiato’. Parola – quest’ultima – di papa Francesco. Ecco il segreto della gioia di don Elio. Una gioia che non gli proveniva dal sentirsi ‘perfetto’: un prete bello, buono e bravo. Gli proveniva dal sapersi povero peccatore perdonato, un prete miserabile e misericordiato.
A questo punto, più che continuare a parlare di lui – rischieremmo di farlo arrossire e magari arrabbiare – ritengo più importante ascoltare la parola che, attraverso di lui, il nostro altissimo, onnipotente e buon Signore vuole comunicarci. Ed è la parola centrale che, come una perla rara e preziosa, brilla nello scrigno del brano evangelico di oggi: “Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso” (Lc 6,36). Nel passo parallelo di Matteo, si legge: “Voi siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5,48). La perfezione di cui qui si parla non va letta nel senso di un perfezionismo compulsivo e alla fin fine frustrante. Va inteso nel senso ‘lucano’ della perfezione, ossia della pienezza della misericordia evangelica.
Qui però ci si impone una pausa meditativa. Ci sono dei passi del vangelo che farebbero pensare alla misericordia di Dio nei nostri confronti, come qualcosa che sarebbe a noi legittimamente dovuta perché da noi ‘giustamente’ meritata, in riconoscimento della misericordia usata verso i nostri ‘debitori’. Ad esempio, nel Padre nostro noi diciamo: ”Rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori”. Sembrerebbe quasi che Dio ci condoni il nostro debito e ci conceda il suo perdono alla precisa, tassativa condizione che noi abbiamo già perdonato ai nostri debitori. Un altro passo che ci porterebbe a questa conclusione è il seguente: “Se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà a voi” (Mt 6,15).
2. Saremmo dunque indotti a pensare che la misericordia di Dio verso di noi sia un effetto della nostra misericordia verso gli altri. E invece no! Dobbiamo essere misericordiosi verso gli altri non per essere ‘misericordiati’ da Dio, ma perché siamo già stati – e veniamo continuamente – da lui teneramente ‘misericordiati’. La misericordia verso il fratello non è la condizione per ricevere misericordia dal Signore, ma ne è la conseguenza. Ripeto: proprio perché misericordiati dal Signore, noi possiamo e dobbiamo essere misericordiosi nei confronti del nostro prossimo. Non viceversa.
Ce lo fa capire molto bene Gesù stesso con la parabola del servo gretto e spietato (Mt 18,23ss). Qui si tocca con mano quanto stratosferica sia la magnanimità, quanto sia astronomica la misericordia del padrone che condona al primo servo, senza condizioni, quel debito gigantesco di diecimila talenti. Una cifra iperbolica, da capogiro. Basta fare due calcoli. Se un talento è pari al salario di 6mila giornate lavorative, 10mila talenti sono pari a 60milioni di quelle giornate. Per pagare questo debito, uno dovrebbe lavorare per circa 200mila anni, senza mangiare. Un condono tanto extra-large avrebbe dovuto spingere il primo servo ad avere pietà del suo ‘con-servo’, che gli doveva la modica, misera cifra di appena cento denari, la bellezza di una somma da ridere, 600mila volte inferiore al debito del servo strozzino. In effetti se un denaro equivale al salario di una giornata lavorativa, 100 denari equivalgono al salario di poco più di tre mesi di lavoro. Un rapporto davvero mozzafiato!
3. Torniamo al nostro ‘Don’. Alla scuola di don Oreste, l’allora giovanissimo don Elio Piccari ha imparato tre verità ‘alfabetiche’.
Primo. Per un pastore, come del resto per un cristiano della porta accanto, non c’è e non ci può essere amore per il prossimo senza amore per Dio. Amore per Dio e amore per il prossimo sono come due pali incrociati. Il primo è il palo verticale: l’amore per Dio. Che regge e sorregge il palo orizzontale: l’amore per il prossimo.
Secondo. Non c’è e non ci può essere amore per Dio se non si crede fino in fondo che a Dio interessa più il nostro amore per il prossimo che il nostro amore per lui stesso.
Terzo. Dio nel bene è misericordia che dona. Nel male è misericordia che condona e perdona.
Grazie, caro don Elio, per la tua testimonianza di misericordia in una vita come la tua: misericordiata e misericordiosa.
Rimini, Grotta Rossa, 10 settembre 2020
+ Francesco Lambiasi