Omelia del Vescovo tenuta nella Messa per Comunione e Liberazione
Il cosiddetto discorso della montagna, più che un alto monte, fa venire in mente una massiccia catena di montagne. Oggi il versetto conclusivo del vangelo ci fa sfiorare la cima più elevata della dorsale di vette, che si stagliano in filigrana, nel quadro dei tre capitoli dedicati da Matteo al discorso programmatico di Gesù. Rileggiamo quel versetto da brivido: “Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli”.
1. Qui rischiamo un doppio cortocircuito. Il primo riguarda quella parola esigente, rigorosa, intransigente: perfetti. La nostra oggi si caratterizza come una società in cui si è titolati a vivere solo se perfetti. Ogni insufficienza, ogni debolezza, ogni fragilità sembra debba essere bandita e di fatto viene sistematicamente esiliata. Ma è questa la perfezione che Gesù si aspetta dai suoi discepoli? Assolutamente no! Secondo il Maestro di Nazaret i suoi discepoli devono essere perfetti sì, ma “come il Padre che è nei cieli”.
E qui corriamo il rischio di un secondo cortocircuito: quello di scambiare la perfezione divina con una perfezione mondana, magari elevata all’ennesima potenza. Ma Dio non è un super-faraone al cubo! Non è un essere super-perfetto, come lo sono i divi della canzone o dello spettacolo. La perfezione di Dio Padre non consiste tanto nell’onnipotenza, nell’onniscienza, o in altri attributi divini. Se così fosse, Gesù ci chiederebbe una perfezione umanamente impossibile e noi fatalmente scivoleremmo sul piano inclinato di un perfezionismo angoscioso e disperante. Ha inteso bene san Luca il detto di Gesù su citato, quando è arrivato a tradurlo – senza tradirlo! – con questa formulazione: “Siate misericordiosi, come misericordioso è il Padre vostro” (Lc 6,36). Commentava Tommaso d’Aquino: “E’ proprio di Dio usare misericordia, e in questo specialmente si manifesta la sua onnipotenza” (EG 37).
Misericordioso come il Padre lo è stato in pienezza solo il Figlio, Gesù. Se guardiamo fisso Gesù, allora in lui non vediamo il Dio della bilancia, ma il Dio dell’abbraccio. Se noi crediamo nel Dio della bilancia, ci autocondanniamo alla presunta giustizia del bilancino con cui pesare le nostre briciole di meticolosa osservanza della legge. Allora ci illudiamo di poter regolare il male, soppesando torti e risarcimenti. Ma il tratto specifico e unico del Padre di Gesù di Nazaret è il suo essere… Madre! Il Padre nostro è veramente il Dio dell’abbraccio. Sentite quanto sia bello questo passaggio del servo di Dio don Giussani sull’abbraccio:
“In noi c’è una forza, la forza che ci crea, che ci abbraccia lo stesso, mentre noi ci agitiamo come bambini cattivi, ci abbraccia lo stesso. Ed è da questo abbraccio che la nostra agitazione si calma e riconosce Colui a cui apparteniamo. Noi non vorremmo appartenere se non a noi stessi e allora sbagliamo tutto, ma Colui a cui apparteniamo ci abbraccia lo stesso. Allora, a questo punto, uno cede. Come un bambino che fa i capricci e la mamma invece di sculacciarlo, lo abbraccia…”.
2. Questa è la misericordia che Dio ci usa. Pertanto il detto sintetico che riassume tutta la morale della misericordia non è la legge del taglione: “Il male che l’altro fa a te, tu fallo a lui”, ma: “Il bene che Dio fa a te, tu fallo agli altri, anche a chi ti ha fatto del male”. Gesù ci richiama con dolce severità: “Amate i vostri nemici e fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono e pregate per coloro che vi maltrattano”. Questa parola del Signore rappresenta il vertice della “nuova Legge”: quel vertice che solo il Figlio di Dio può indicare e che solo un figlio di Dio può raggiungere.
Ma non si tratta di una morale da “super-eroi”, come se Gesù chiedesse ai suoi discepoli di andare contro natura, o di superarsi con un sforzo titanico, tirandosi su per i capelli. Al contrario, è l’amore che è naturale e umano, ed è l’inimicizia che è innaturale e disumana. Insomma occorre ristabilire la verità: se Dio è Padre “che fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti”, allora la prima conseguenza, strettamente addentellata alla precedente, è che il mondo è la sua casa, l’umanità la sua famiglia. E la seconda conseguenza è che questa famiglia è fatta anzitutto di figli, non di amici e nemici. Per questo Gesù è venuto, “per abbattere il muro dell’inimicizia” (Ef 2,14-16). Per questo ha pregato: “Padre che siano una sola cosa…”. Per questo ha donato il suo sangue. Per questo ha perdonato carnefici e mandanti: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”.
Ma non possiamo essere ingenui: anche nella Chiesa ci sono i conflitti. E il Papa ne parla con disarmante candore nella Gioia del Vangelo (n. 227) e ci ricorda che il conflitto non si può superare negandolo, facendo finta di niente, né facendolo diventare una trappola per morirci dentro. Ma il cristiano non pretende neppure di vincere il male con la sua sola buona volontà. Un vero discepolo di Gesù può trasformare il conflitto in anello di un processo di riconciliazione, solo se lascia riattivare in se stesso – dallo Spirito del Crocifisso-Risorto – il cuore di figlio del Padre e di fratello di tutti, perfino di Caino e dei suoi stessi nemici. Il Papa continua a gridare:
“No alla guerra tra di noi! All’interno del popolo di Dio e nelle diverse comunità, quante guerre! Nel quartiere, nel posto di lavoro, quante guerre per invidie e gelosie, anche tra cristiani! (…) Mi fa tanto male riscontrare come in alcune comunità cristiane, e persino tra persone consacrate , si dia spazio a forme di odio, di divisione, calunnia, diffamazione, vendetta, gelosia, desiderio di imporre le proprie idee a qualsiasi costo, fino a persecuzioni che sembrano una implacabile caccia alle streghe. Ma chi vogliamo evangelizzare con questi comportamenti? (…) Non lasciamoci rubare l’ideale dell’amore fraterno!” (EG nn. 98-101).
Oggi l’amore tra fratelli della stessa fede e l’amore verso i nemici sono due segni distintivi tra i più credibili e attraenti nei confronti di quanti non credono in Gesù. E fanno vedere in modo inequivocabile che non c’è vita più umana di una vita veramente cristiana.
Rimini, Basilica Cattedrale, 20 febbraio 2020
+ Francesco Lambiasi