Omelia del Vescovo per la Giornata Nazionale per la Vita e per la Giornata Mondiale per la Vita Consacrata
Vincolante. Stupefacente. Incoraggiante. Quando all’ultima cena consegna ai Dodici il comandamento dell’amore – che chiama “mio” e definisce “nuovo” – Gesù dichiara solennemente: “Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13,34). Dopo l’indicativo: “come io ho amato voi”, ci saremmo aspettati l’imperativo-esortativo: “così anche voi amate me”. E invece, a sorpresa, il Maestro non richiede una reciprocità ‘verticale’, ma ne esige una ‘orizzontale’. Pertanto il comandamento dell’amore formulato da Gesù lancia due segnali forti e imprescindibili. Il primo è il segnale della gratuità. Nella classifica dell’amore il primato tocca all’amore di Dio per noi, non al nostro per lui. Il secondo segnale, quello della reciprocità: come appena detto, Gesù ci affida come segno della nostra sequela che noi ci amiamo gli uni gli altri. Ma l’amore di Dio Padre – così come si incarna nella parola e nella vicenda di Gesù – si contrassegna anche per altre due note: la fedeltà e la fecondità. Ed è proprio su questa quarta nota che vorrei condividere una breve riflessione, cercando di declinarla prima sul versante dell’amore sponsale e subito dopo su quello della vita consacrata. In effetti il messaggio della 42.a Giornata nazionale per la Vita – Aprite le porte alla Vita – vale non solo per voi del Movimento per la Vita, ma anche per voi, Sorelle e Fratelli consacrati.
1. Una icona viva e palpitante, il mistero gaudioso della presentazione del Signore Gesù al tempio. Immagine-tipo di ogni famiglia. Un autentico inno alla vita. Nella scena pennellata dall’evangelista Luca, la vita sta al centro: Gesù è il frutto benedetto del grembo di Maria. Grembo verginale, ma fecondo, poiché fecondato dallo Spirito Santo.
Aprire le porte alla Vita ricorda che la vita sboccia dalla vita. Come la luce si accende dalla luce. Come il fuoco s infiamma dal fuoco. Come l’amore fiorisce dall’amore.
Aprire le porte alla Vita dice che l’amore è per natura sua fecondo. Quando si vuol bene a qualcuno, si è disposti a dare la propria vita per quella altrui. Vedi la lezione del martirio cristiano.
Aprire le porte alla Vita richiama la certezza che l’amore tra un uomo e una donna è immagine e somiglianza dell’amore divino, perché, come quello, ha in sé una potenzialità creatrice e si risolve nella possibilità di una nuova vita. Ma l’amore fecondo è impegnativo, perché, come è stato per il Creatore, non si limita a suscitare la vita, ma porta a prendersene cura.
Aprire le porte alla Vita indica che l’atto più espressivo con il quale l’uomo e la donna si dicono l’amore reciproco nel dono del corpo, sia orientato a generare la vita. Sarà dunque autentico se non si chiude a questa capacità. La saprà invece amministrare con generosità e responsabilità.
Aprire le porte alla Vita ripropone la certezza che l’ospitalità è una legge fondamentale della vita: siamo stati ospitati per imparare ad ospitare. E’ parola di Gesù: “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Mt 10,8). Certo: non tutti fanno l’esperienza di essere ‘ospitati’ da coloro che li hanno generati. Numerose sono le forme di aborto, di abbandono, di maltrattamento e di abuso.
Aprire le porte alla Vita significa non dimenticare mai che non si è fecondi solo per una capacità biologica. E se non ci si prepara e non si è disposti a donare la propria vita.
L’intenzione di vita vale, dunque, ma non a qualunque costo. Senza accoglienza del reale – così come esso è e non come si vorrebbe, a ogni costo, che fosse – tutto diventa possibile e nulla può essere escluso, anche il paradossale e l’inconcepibile. Il recentissimo caso avvenuto sul territorio invita a qualche riflessione. Un Comune non aveva iscritto una coppia di donne come ‘genitori’ di due gemelli, nati in Italia dopo che in una clinica europea era stata praticata la fecondazione in vitro con doppia eterologa. Quando l’esercizio del giudicare archivia o piega i grandi princìpi, si adegua alle richieste più autoreferenziali e prende il largo dalla realtà della relazione affettiva e generativa, così come è evidente alla ragione attraverso l’esperienza della genitorialità integrale di cui la storia della civiltà umana è intrisa, si apre una breccia in cui può infiltrarsi la ‘dittatura dell’intenzione’ di diventare genitori a ogni costo. Essa prende così il posto del ‘primato dell’azione’ di essere genitori attraverso gli atti umani propri del generare e dell’educare, che non possono essere surrogati né dalla ‘medicina dei desideri’, né dal diritto creativo e neppure da un potenziale consenso mediatico.
Aprire le porte alla Vita non si può, se il volersi bene diventa motivo per chiudersi agli altri. Si può, invece, se diventa una spinta ad aprirsi insieme a tutti, ad andare insieme verso tutti, soprattutto verso quanti non si sentono amati da nessuno.
2. Apriamo le porte alla Vita, Sorelle e fratelli consacrati! Il nostro amore verginale è un amore fecondo. E’ una fecondità diversa da quella del concepire un figlio. Ma se il nostro amore non suscitasse vita e non si prendesse cura di ogni figlio di Dio, soprattutto di chi è il più piccolo, il più vulnerabile e indifeso, non sarebbe immagine trasparente e credibile dell’amore divino.
Apriamo le porte alla Vita. La capacità generatrice della sessualità non è l’unica fecondità. E come la sessualità non traduce l’amore divino quando in partenza esclude la fecondità e non si apre alla vita, così la verginità consacrata senza fecondità spirituale, senza cura amorevole della vita altrui più che della propria, sarebbe esclusione egoista dell’appello a generare vita, che il nostro stesso essere sessuati esprime e annuncia con tangibile concretezza.
Apriamo le porte alla Vita. La verginità consacrata non è una astinenza acida e astiosa. Né un narcisismo sterile e ripiegato. E’ piuttosto un amore fecondo: accogliente di tutti e aperto a tutti. Anche coloro che scelgono la vita monastica non si chiudono nei quattro metri cubi di una cella solitaria, per pensare soltanto alla salvezza dell’anima propria. Ma piuttosto, per abbracciare tutto il mondo, con un cuore malato d’amore per Gesù, il fratello buono vissuto a mani aperte e morto a braccia spalancate. Diversamente il loro sarebbe un egoismo gretto e rannicchiato, non un lampante riverbero dell’amore divino, né una immagine palpitante della misericordiosa tenerezza di Gesù, che ci ha amato fino a dare la vita per tutti e per ciascuno di noi. “Nel cuore della Chiesa mia madre, io sarò l’amore”, scriveva Teresa di Gesù Bambino, missionaria dalla propria clausura.
Apriamo le porte alla Vita. La verginità consacrata non è un modo di sottrarsi all’amore che piuttosto chiede sempre di farsi palpabile e personale, ed è impegno ad accogliere non solo una persona, ma ogni persona sola, come se fosse “l’amato del mio cuore” (Ct 3,1).
Apriamo le porte alla Vita. Appartenere solo a Dio significa fare del nostro essere e del nostro agire un giardino da Lui irrigato, coltivato e fecondato. Lo stesso Cantico dei cantici suggerisce che la nostra fecondità di consacrati viene da Lui:
“Sono venuto nel mio giardino, sorella mia, mia sposa,
e raccolgo la mia mirra e il mio balsamo,
mangio il mio favo e il mio miele,
bevo il mio vino e il mio latte.
Mangiate, amici, bevete, inebriatevi d’amore” (Ct 5,1).
Apriamo le porte alla Vita. Dio non ci attira a sé per tenerci poi soltanto accanto a sé, quasi nello splendido isolamento della sua trascendenza. Ci attira a sé per donarci al mondo.
Apriamo le porte alla Vita. Se è vero che la sessualità è una energia per la vita, è anche vero che il suo significato non si esaurisce nella genitalità. La verginità è povertà, è assenza di un proprio progetto per realizzarsi, è mancanza di fecondità propria.
Maria ci insegna che la verginità e il celibato suggeriscono alla Chiesa l’unico atteggiamento per portare frutto: scostarsi per fare spazio al Signore, ridurre ogni pretesa di fecondità personale per lasciare posto alla sua azione: misericordiosa, gratuita, fruttifera.
Santa Maria della Vita preghi per noi, e cammini con noi sulla via della vita. Sia davanti a noi, per guidarci. Dietro a noi, per difenderci. Accanto a noi, per sostenerci e consolarci. Amen.
Rimini, Basilica Cattedrale, 1 febbraio 2020
+ Francesco Lambiasi