Credere è camminare
Omelia del Vescovo per l’Epifania
Siamo chiamati. Tutti, nessuno escluso. Siamo tutti attesi all’appuntamento con Cristo. Davvero tutti. Proprio tutti e ciascuno, per nome e cognome. Il nostro viaggio nella vita è un po’ come il cammino dei magi. Veniamo anche noi “da lontano”. Alcuni forse provengono da una appartenenza alla Chiesa, poi lasciata cadere. Altri, forse, si ritengono a buon diritto ‘credenti-non-praticanti’. Altri, ancora, frequentano le funzioni domenicali per precetto o per abitudine. Quasi certamente molti di noi sono andati da bambini al catechismo. Ma è così sicuro che delle lezioncine, ascoltate quando si avevano nove o dieci anni, siano sufficienti a dei giovani, a degli adulti per cogliere il ‘senso’ – come significato e come direzione di vita – del messaggio evangelico? Affideremmo il nostro giudizio su un grande testo letterario o su uno spettacolo teatrale o su un brano musicale all’esperienza avutane da bambini?
1. Fratelli, Sorelle, Amici tutti, confido nella vostra comprensione. Non sto qui a distribuire diplomi di benemerenza. Non sto qui ad assegnare pagelle di promozione o di bocciatura per nessuno. Se solo mi permettessi di farlo, farei un cattivo servizio non solo a voi, ma anche al Vangelo di cui sono, indegnamente, portavoce accreditato. Anzi, sto qui a dire che, a pensarci bene, tutti, me compreso, possiamo confessare che anche noi veniamo o siamo venuti da lontano.
Non è per una finzione psicologica, ma è vero per davvero che anche noi possiamo specchiarci nei magi. In effetti, dal testo evangelico si evince con chiarezza che questi misteriosi personaggi non solo non erano dei cristiani, ma neppure degli aderenti al giudaismo. Essi venivano da molto lontano ed erano all’oscuro delle sacre tradizioni di Israele, da cui furono illuminati solo in un secondo tempo, tramite i sapienti ebrei consultati da Erode. Quanto alla notizia relativa alla stella, essa si inserisce perfettamente nella conoscenza che abbiamo della civiltà mesopotamica, da cui i magi presumibilmente provenivano. In quella cultura erano particolarmente fiorenti gli studi astrologici, perché si riteneva che vi fosse una stretta connessione tra il corso dei corpi celesti e il destino degli umani, come del resto pensa chi tuttora crede nell’oroscopo. E’ abbastanza logico dunque supporre che la stella di cui parla il vangelo di Matteo sia un segno cosmico, e che i magi fossero degli studiosi di astrologia.
Ma ciò che colpisce nel racconto dei magi, è il loro cammino. Hanno affrontato i disagi e le disavventure delle vie del tempo. Hanno sfidato dubbi, rischi e pericoli di ogni viaggiatore dell’epoca. Solo per una stella? Sì, solo per quella piccolissima luce intermittente, letta nello sconfinato libro dell’universo. Certo, tutta la misericordiosa onnipotenza di Dio si ‘squaderna’ nel sacro testo del creato: la materia effervescente, la vita brulicante, i mari e i monti, i fiori e le stelle, gli stupori dei bimbi e i sospiri degli innamorati ci veicolano un ‘vangelo’ d’amore e, insieme, ci trasmettono una domanda ineludibile: cosa o chi è la segreta sorgente di tanta bellezza?
2. Riconosciamolo. Viviamo sulla Terra, ma non siamo fatti per vivere una vita ‘terra terra’. Siamo impastati di polvere, ma è polvere di stelle. Veniamo tutti al mondo con un infinito desiderio di Infinito, con la sete mai sazia di una gioia perfetta, incontaminata, esuberante. Una sete lancinante, che si accende con il primo vagito e si spegne con l’ultimo respiro. Nel frattempo passiamo da un pozzo all’altro: un vagare incessante, un desiderio inesauribile, una interminabile ricerca. Siamo affamati di felicità, e facciamo esperienza di fragilità. Non siamo eterni in questo mondo, ma effimeri e precari. Non siamo onnipotenti, ma deboli e limitati. Vorremmo essere sempre retti e corretti, ma spesso facciamo il male che non vogliamo, e non facciamo il bene che, pure, vorremmo. Brancoliamo alla ricerca della luce, ma tante volte inciampiamo nelle nebbie del dubbio o sprofondiamo nelle sabbie mobili di miraggi, incubi e abbagli folgoranti. Ci sentiamo calamitati dalla bellezza, e ci ritroviamo a subire le aggressioni sfrontate del volgare e perfino dell’orrido. Abbiamo bisogno di fiducia, di amore, di bontà, di pace più che del pane, e ci capita spesso di sentirci soli. Tristi, amari e smarriti.
Ma, niente sconforti e avvilimenti. Niente lamentele, né rassegnazione né tantomeno disperazione. Possiamo sperare. Quando la stella si è spenta nell’alto firmamento e nel profondo cielo del loro cuore, i magi hanno cercato la luce nell’universo delle sante Scritture. Il paradosso è che quanti le sapevano leggere – sacerdoti e scribi di Gerusalemme – sono rimasti sistemati alle loro cattedre, come dottori sazi del loro sapere e soddisfatti della loro saccente teologia. I magi invece si sono rimessi in cammino. Credere non è un sapere, un ingerire una lista infinita di verità e precetti. Credere è camminare. Nonostante dubbi e nebbie. Nonostante fragilità e sfiancanti fatiche. Nonostante sbandamenti e penose incertezze. Si deve sfatare l’illusione di conoscere Dio. Occorre anche abbandonare visioni preconcette, schemi scontati, pregiudizi incalliti. Siamo invitati ad andare oltre. Sempre più in là. Poiché “tutte le cose portano scritto: più in là” (Montale).
Così hanno fatto i magi: hanno cercato e hanno trovato. Perché Dio non gioca a nascondino. Ma si lascia sempre trovare da chi lo cerca con cuore sincero. I magi si sono lasciati sorprendere, e hanno riconosciuto l’Altissimo, l’Immenso, l’Onnipotente in quel piccolissimo, fragilissimo, tenerissimo Bambino. Lo hanno adorato e gli hanno offerto oro, incenso e mirra.
3. Fratelli, Sorelle, Amici, anche noi oggi siamo chiamati a riprendere il cammino. Non ci basta commuoverci. Siamo provocati a smuoverci. Non possiamo ammalarci di ‘divanite’ e diventare dei ‘sedentari’ spirituali. Siamo invitati a riscoprire la bellezza della nostra fede. Siamo interpellati a raccontarla con fatti di Vangelo a quanti incrociano i nostri cammini. Perché la fede si difende se la si diffonde. E si sviluppa nella misura in cui la si comunica.
Ma prima di riprendere la nostra strada, vogliamo anche noi adorare il Bambino e offrirgli i nostri doni. Gli offriremo il nostro oro, il bene più prezioso: il tempo. Bene personale e universale, di ognuno e di tutti, comune a piccoli e grandi. Mentre avere, sapere, potere non sono di tutti. Invece di regali costosi, effimeri, inutili, quale dono più prezioso che regalare del proprio tempo a chi vive solo, chiede ascolto, invoca attenzione e protezione? Offriremo dunque l’oro del nostro tempo al Bambino e a lui chiederemo di restituircelo con un progetto di amore e di solidarietà.
Gli offriremo anche l’incenso della nostra preghiera e gli chiederemo di dirci almeno una parola. Così la nostra invocazione non si ridurrà a uno sterile monologo, ma si tramuterà in autentico, fecondo dialogo: umano-divino, divino-umano.
Gli offriremo infine la mirra del nostro dolore. E gli chiederemo di riconsegnarcelo trasfigurato in un umile, tenero, grande amore.
Amen.
Rimini, Basilica Cattedrale 2020
+ Francesco Lambiasi