Omelia del Vescovo per la Giornata mondialedella Vita consacrata e per la Giornata nazionale della Vita
Due parole, due: vita e futuro. Due parole che appartengono alla grammatica dell’umano, ma sono anche due voci obbligate del vocabolario-base della vita consacrata. Prima di provare a declinarle sul versante della Giornata nazionale della Vita e di quella mondiale della Vita consacrata, permettetemi di partire da una breve, ma rapita contemplazione dell’icona evangelica, magicamente ‘pennellata’ da san Luca. Al centro della scena c’è una giovane mamma, Maria, e al centro del centro il suo bambino, sul quale piovono quattro potenti fasci di luce. Il bimbo viene decantato dal vecchio Simeone come la salvezza per tutti i popoli (v. 32). Come la luce che rivela e attua il sogno di Dio per l’umanità (v. 32). Come la gloria di Israele, la suprema manifestazione di Dio in mezzo al popolo amato (v. 32). L’affresco tinteggiato dall’evangelista appare stupefacente: dal particolare puntuale dell’incarnazione all’orizzonte universale della salvezza. Eppure, davanti a lui, si dispiega il dramma dell’accoglienza e del rifiuto: questo Bambino sarà segno di contraddizione, in cui verrà coinvolta anche la madre (v. 34).
1. Il bambino è vita e futuro. Quante volte abbiamo sentito dire di una persona: “Lei sì che ama la vita… Lui sì che, la vita, se la gode”. In genere espressioni di questo tipo si usano per qualcuna o qualcuno che cerca di ‘addentare’ la vita con appetito vorace, deciso ad assaporarne ogni frammento, sfruttandolo a proprio uso e consumo. E’ il frutto amaro dell’egocentrismo, l’inesorabile prodotto di quel narcisismo che porta a rannicchiarsi sul proprio ombelico, a pensare solo al proprio interesse, a centrarsi solo sul proprio tornaconto, senza altro criterio che quello ‘scriteriato’ dei penosi slogan dell’individualismo più arrogante e spudorato: “io sono mio”, “io sono il dio del mio io”. Tanto il giusto e l’ingiusto sono bandierine da far girare al vento della ‘voglia’ più sfrenata… Ma non è proprio questa la radice infetta per cui l’Italia si è ammalata di vecchiaia, si è truccata di finta giovinezza, è precipitata nelle voragini di una deprimente solitudine, di un lurido egoismo, di una agghiacciante paura? Terribile illusione: senza gli altri, senza l’Altro, non c’è pienezza, non c’è felicità, né vera salvezza.
Mentre invece è l’abbraccio alla vita fragile che genera futuro. Scrivono i vescovi italiani: “Per aprire il futuro siamo chiamati all’accoglienza della vita prima e dopo la nascita, in ogni condizione e circostanza in cui essa è debole, minacciata e bisognosa dell’essenziale”. Amare la vita e assaporare quanto di bello, di vero e di buono ci può riservare se facciamo la nostra parte, vuol dire, infatti, amare, ospitare e dischiudere il domani.
Oggi, giornata per la Vita consacrata, è utile ripercorrere i forti messaggi che una religiosa come santa Teresa di Calcutta ha più volte rilanciato all’umanità tutta: i bambini non ancora nati sono i più poveri tra i poveri. E l’aborto è il principio che mette in pericolo la pace nel mondo. In effetti il numero dei bambini uccisi nel seno materno ogni anno nel mondo supera il numero dei morti delle due guerre mondiali. Non possiamo condividere la logica disumana di una società abortista che ad una mamma incinta dice: “Se vuoi abortire, pensiamo a tutto noi. Se vuoi tenere il bambino, devi cavartela da sola”.
2. Anche la vita consacrata “è vita e futuro”. Sì, la vita consacrata è effettivamente vita, perché traccia viva della Trinità nella storia. C’è stato un tempo in cui la Trinità era esaltata nei cieli e adorata nell’intimo dei cuori, fatti sua abitazione. L’inabitazione della Trinità è stata verità dolcissima e consolantissima, che ha sostenuto un’alta, vertiginosa spiritualità. Ora però è giunto il momento di passare dalla dimensione ‘intra-personale’ alla dimensione ‘inter-personale’, dall’intimo al comunitario, dall’io al noi, per mostrare la forza di com-unione e di com-unità del Mistero grande dell’amore più grande. Le persone o sono in relazione o non sono persone. E la comunità o è rete di persone in relazione o non è comunità.
E la verginità delle consacrate e dei consacrati è il tangibile, puntuale riverbero dell’amore infinito che lega i Tre in piena, perfetta unità. E’ l’amore incarnato dal Figlio fino all’insuperabile dono della vita. E’ l’amore “riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo (Rm 5,5), che stimola ad una risposta di obbedienza al Padre per la vita dei fratelli. Nel donare tutto il proprio cuore a Dio, la consacrata o il consacrato non si sente espropriato del suo bene più caro – la capacità di amare – ma si vede restituito un cuore extra-large, spalancato sui membri della comunità. Dilatato ai tanti poveri, e perfino a coloro che si ostinano implacabilmente ad affliggerci.
Non avere più tempo per pensare a sé risulta segno tangibile che le proprie durezze si sono ormai sciolte come cubetti di ghiaccio tra le mani. Non restringere il bene a quanti ci vogliono bene è valida tessera di garanzia che assicura la maturazione di un cuore, tutto imbevuto di tenerezza e di inossidabile misericordia. Un cuore purificato e intimamente pacificato che ride a Dio, perché Dio ride a lui. Scrivi, sorella, fratello: “Qui è perfetta letizia”. E tu ti ritrovi come un’anfora traboccante di felicità. Sentirsi amati dall’Amore, riamarlo e farlo amare fa sussultare le proprie viscere di irrefrenabile allegria. Fa letteralmente scoppiare il cuore di gioia. Si verifica così la promessa di Gesù, venuto a portare la vita e la vita in abbondanza, secondo una misura pigiata, scossa e traboccante.
La vita consacrata è futuro. Non sfugge a nessuno l’intensa diakonia che le famiglie religiose esprimono sul territorio a favore della vita minacciata o indifesa: a favore dei malati; degli anziani; dei bambini, dalla scuola dell’infanzia alle superiori. Se le forme di questo prezioso ‘servizio alla vita’ sono cambiate in passato, e in futuro potranno ancora cambiare, c’è un servizio insostituibile che voi esprimete al di là dell’attività specifica o del vostro ministero. E’ la testimonianza dell’Assoluto di Dio. In questo senso la vita consacrata rappresenta una ‘segnaletica stradale’ chiara e sicura per la sua meta irrinunciabile: far volgere verso Dio lo sguardo di quanti hanno il compito di far lievitare la storia, impastandola con il fermento del Vangelo.
Carissime Sorelle, cari Fratelli, voi non avete solo una glorioso passato da raccontare. Avete un luminoso futuro da costruire. Per questo vi preghiamo: fateci vedere una testimonianza più radicale e paradossale, meno scontata e scolorita, dei valori della preghiera, della povertà, di una fraternità limpida e cordiale, di una disponibilità gratuita e appassionata, in una parola di una generosa e gioiosa sequela evangelica. E fateci ridere gli occhi nel farci vedere la vostra gioia. Come il segno più trasparente e convincente che non vi siete pentiti di esservi donati e consacrati all’Amore. L’Amore inesauribile e intramontabile. L’Amore senza fine e senza confine.
Rimini, Basilica Cattedrale – 2 febbraio 2019
+ Francesco Lambiasi