Omelia del Vescovo per la Messa esequiale
“Purifica, Signore, il mio cuore e le mie labbra, perché io possa degnamente annunciare il tuo Vangelo”. E’ la preghiera recitata sottovoce dal diacono o, in sua assenza, dal presbitero, prima di proclamare il Vangelo. La faccio mia e la vorrei condividere con voi, in questo momento in cui mi devo assumere il lieve, ma delicato onere di farmi portavoce del Vangelo di Gesù, e devo accettare il lieto onore di farmi interprete di questa limpida pagina del ‘quinto Vangelo’, qual è stata la vita della nostra amatissima sorella Marilena.
1. Abbiamo sentito bene. Nel brano tratto dal Vangelo secondo Matteo appena proclamato, abbiamo ascoltato il divin Maestro usare, per la penultima volta prima della sua passione, la formula solenne: “In verità io vi dico”. Una formula che anticipa sempre una verità a lettere di scatola: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40). Con questa affermazione Gesù proclama pari pari i piccoli e i poveri come suoi veri vicari. Sì, vicario di Cristo non è solo il papa. E neppure lo sono solo i vescovi, i quali vengono fregiati dal Concilio con questo titolo esorbitante. I vescovi non sono vicari del papa, ma sono anch’essi, collegialmente presi, vicari di Cristo. Ma qui Gesù ci dice una cosa ancora più colossale: vicari di Cristo sono tutti e ciascun povero, singolarmente preso. Questo non significa che tutto quello che dice e fa un povero è detto e fatto da Cristo, ma che tutto quello che si dice e si fa ad un povero è detto e fatto a Cristo.
Ma chi è Cristo? dove si può vedere, dove si può udire? dove si può incontrare? dove si può toccare? Ce lo spiega lui stesso. Gesù di Nazaret ci si presenta come un Dio che ha volto e lineamenti che incontriamo ogni giorno, perché sono il volto e i lineamenti del povero. Gesù Cristo è un Dio che ha fame e sete, che è senza casa, senza patria. Senza vestito, senza tetto, senza letto. E’ un Dio carcerato e sofferente. E’ un bambino abusato. Una donna violentata o prostituita. Un vecchio abbandonato. Un straniero respinto. E’ un poveraccio scartato, che desidera un sorriso, una parola amica, una carezza sul viso. E’ un Dio che ha bisogno di un boccone di pane, di un bicchiere di acqua, di un sorso di vita. E’ il povero di ogni colore e di ogni dolore: quello è il “fratello del gran Re”, e tutta la legge è nel volergli bene. Chi percorre la strada dell’amore al povero, si ritrova automaticamente dentro l’amore di Dio, persino senza saperlo: “Quando mai ti abbiamo incontrato?”. La grande rivelazione risponde: “L’avete fatto a me”. Ci è proclamata di colpo e senza equivoci la dignità dell’uomo per il suo essere immagine di Dio, per il suo essere amato da Dio. E non è la stessa cosa che decreta la pur benemerita proclamazione dei diritti umani, della giustizia sociale, delle organizzazioni filantropiche.
2. Ora, dopo essermi fatto portavoce del Vangelo di Gesù, devo farmi portavoce del Vangelo di e su E’ quello che si potrebbe chiamare una sorta di ‘quinto vangelo’: non è un vangelo che si aggiunge agli altri quattro detti ‘canonici’, ma è quello che ogni generazione scrive con il sangue dei martiri, con la testimonianza dei cristiani, con la dottrina dei maestri o ‘dottori’, con la guida dei pastori, con la santità delle consacrate e dei consacrati, con l’amore degli sposi, con il sorriso delle suore anziane, con la tenerezza degli innamorati, con il servizio dei laici nel lavoro e nelle varie professioni.
Per il vangelo su Marilena, abbiamo ricevuto tante testimonianze, e al termine ne consegnerò un plico ai familiari. Ora mi servo del messaggio che un po’ li riassume tutti, e mi pare ci aiuti a cogliere quale sia stato il segreto di Marilena. L’ho ricevuto ieri da Massimo Migani, il giovane medico odontoiatra, suo successore nella direzione sanitaria dell’Ospedale di Mutoko.
“Ringrazio immensamente il Signore per avermi fatto dono di poter conoscere, affiancare e condividere parte della mia vita con una maestra, medico, missionaria e mamma come Marilena. Come disse Tonino suo fratello al quale, qui a Mutoko siamo tutti altrettanto profondamente legati, nel giorno della partenza di Marilena dalla missione: ‘Marilena ha cambiato la vita di tanti di noi’. Certamente nella sua famiglia, ma anche per tante persone che hanno avuto il dono di incontrarla e per me lei ha avuto un ruolo fondamentale anche nella maturazione della mia chiamata alla vita di missione. Grazie Marilena, grazie per tutto quello che hai fatto, sì ‘fatto’, perché sei sempre stata una donna di poche parole, precise, puntuali e sempre molto mirate, ma ancor più una donna che ha testimoniato a tutti noi in Italia, in Zambia e in Zimbabwe, il significato dell’opera missionaria attraverso la vita vissuta in totale dedizione e carità. Grazie, Marilena, per tutti i tuoi insegnamenti, il tuo affetto, la tua presenza, i bei momenti trascorsi insieme. Ce ne saranno altri ancora da condividere. Grazie per essere stata per tutti noi una mamma, premurosa e attenta. Ora ti chiedo di starci vicino e ancora una volta di accompagnarci, sostenerci e sostenermi, perché abbiamo tanto bisogno di te”.
Infine mi faccio portavoce del vangelo di Marilena. Provo a tesserlo con i fili di alcuni versetti della Sacra Scrittura.
Il primo lo ricavo dalla seconda lettura (1Gv 3, 13). “Noi sappiamo che sappiamo passati dalla morte alla vita perché amiamo i fratelli. Chi non ama, rimane nella morte”. Provo a tradurlo così: è l’egoismo che fa morire; è l’amore che risuscita e fa rifiorire la vita. In altre parole: è meglio morire da vivi che vivere da morti.
Il secondo lo prendo dal vangelo di oggi: “L’avete fatto a me”. Anche chi non sa che nel povero si incontra Cristo in persona, è già dentro alla verità di Dio. Ma chi conosce anche il ‘perché’ deve amare, sa esplicitamente che abbandonare l’uomo nel bisogno significa sconfessare che sia degno d’amore, e dunque sconfessare che Dio gli voglia bene. Per questo non amare il povero è mentire su Dio.
Il terzo assist lo ricevo dagli Atti degli apostoli (20, 35): “Si è più felici nel dare che nel ricevere”. E lo traduco così: Semina la gioia nel giardino del tuo fratello o della tua sorella, e la vedrai fiorire anche nel tuo.
Ma questo è solo l’inizio del vangelo secondo Marilena. Mi assumo la responsabilità di primo esecutore del testamento spirituale di Marilena e passo il testimone a voi, soprattutto a voi giovani, per continuare a intrecciare con la parola di Dio e con la vita di questa nostra sorella la pagina di quinto vangelo che lei ha scritto con la sua vita.
Adesso possiamo pregare così: “Signore, noi non ti chiediamo perché ce l’hai tolta. Ti ringraziamo perché ce l’hai donata”.
Rimini, Basilica Cattedrale, 31 dicembre 2018
+ Francesco Lambiasi