Omelia del Vescovo per la Messa Crismale
E’ un vangelo programmatico, quello appena annunciato da Gesù nella sinagoga di Nazaret. E’ un discorso carico di secoli, un ‘testo’ intessuto di parole che rotolano giù dagli antichi oracoli del profeta Isaia. Eppure questo racconto conserva intatta la freschezza di una prima pagina di giornale: “Oggi – dichiara il giovane Messia galileo – si è compiuta questa Scrittura”.
1. Gli occhi dei presenti erano rimasti incollati su di lui, il fiato sospeso nell’attesa, nel cuore un presentimento di speranza, nell’aria uno stupore incontenibile. Erano state parole di grazia. Un annuncio di gioia e di libertà e di sorprendente, gratuita salvezza. E tutti ne erano rimasti meravigliati, quel giorno. Un giorno che è l’oggi, di tutti i tempi, per tutti gli uomini, di tutte le condizioni, in tutte le situazioni. A sbigottire l’uditorio erano stati i verbi ripresi da Isaia per scolpire il profilo del Messia: evangelizzare – ossia portare il lieto annuncio – ai poveri; fasciare le piaghe dei cuori spezzati; proclamare la libertà degli schiavi; promulgare l’anno di grazia del Signore. Gesù si era fermato qui, nella lettura del passo, molto probabilmente perché subito dopo veniva quel versetto implacabile, che minacciava “un giorno di vendetta del nostro Dio”. Niente da fare: per Gesù Dio non solo concede un anno di grazia, ma non vuole ritagliarsi neppure il minuscolo frammento di un solo giorno di vendetta. Dio non vuole concedersi neanche 24 ore di rivincita. Vuole solo “fare-grazia”, vuole solo “consolare tutti gli afflitti”, vuole solo far sgorgare canti di lode da cuori rattristati e mesti. E basta. Come si vede, dal grappolo dei versetti stilati dall’antico profeta, emerge ciò che è centrale nel messaggio dell’AT, e che Gesù applica a se stesso: il messaggio della consolazione, che fa parte imprescindibile del primo annuncio.
2. Ci fa bene perciò sostare su questo messaggio che non può mai essere messo tra parentesi nel nostro ministero o tenuto in sotto tono, con qualche bemolle in chiave. Oggi la gente avverte un immenso bisogno di consolazione. Del resto il primo annuncio della fede non richiede di affrontare sofisticati teoremi teologici, né una snervante corsa ad ostacoli con test rompicapo da superare, né costringe a rinchiudersi in una prigione dorata, in cui ci si può, sì, rifugiare, ma al prezzo salato della propria libertà.
Siamo un popolo di peccatori in cammino, che spesso inciampano e cadono, ma siamo guidati e accompagnati da Gesù, il pastore grande delle pecore, verso la salvezza. Di questo popolo, oltre che parte viva e solidale, siamo, come presbiteri, responsabili e servitori per amore di Gesù. Certo, il nostro servizio presbiterale non esclude la necessaria proclamazione della verità, la chiara e opportuna condanna dell’errore, la paziente e stimolante esortazione alla conversione. Ma le finalizza a far sgorgare dal cuore del peccatore pentito la gioia per la festa del perdono, la liberante esperienza dell’amore sanante e consolante di Dio. A noi pastori è stato affidato proprio questo servizio, come canta san Paolo:
Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione! Egli ci consola in ogni nostra tribolazione, perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in ogni genere di afflizione con la consolazione con cui noi stessi siamo consolati da Dio (2Cor 3-4).
3. Da queste parole di Paolo possiamo ricavare tre precisazioni.
La prima. La consolazione evangelica non consiste in una vaga retorica consolatoria, fatta di espressioni scontate, di vago sapore religioso, ispirate ad una rinunciataria rassegnazione al fato o alla enigmatica, stravagante volontà di un destino cinico e baro. La consolazione è di ‘marca’ cristiana non tanto perché viene da noi cristiani e neanche semplicemente da noi umani o dal nostro umano buon senso. La consolazione è cristiana d.o.c. perché viene dal Dio cristiano, il Padre del Signore nostro Gesù Cristo, il quale dandoci il Figlio ci ha detto tutto e ci ha dato tutto. Nessuna angoscia o tribolazione ci potrà mai separare dal suo amore. Non la rassegnazione stoica, non la ribellione prometeica porteranno all’umanità la vera consolazione, ma la fede nella Pasqua di Gesù e nel Padre suo, ricco di misericordia, e Dio di ogni consolazione.
La seconda precisazione. Il nostro servizio al ministero della consolazione trova il suo più solido fondamento e la sua inestinguibile sorgente nel fatto che noi siamo già stati, siamo tuttora e saremo sempre consolati da Dio. Se beati – secondo Gesù – sono gli afflitti, perché saranno consolati, non meno beati saranno quanti già stati consolati e che per questo si sanno mandati a consolare altri afflitti. L’efficacia del ministero della consolazione è legata, nel prete, all’esperienza dell’incontro liberante con il Dio di ogni consolazione che sana ogni ferita e non si stanca di perdonare ogni nostro peccato, anche quelli rossi come scarlatto. Siamo noi che ci stanchiamo di consolare perché ci stanchiamo di lasciarci consolare da Dio, Padre nostro. Ma che ne è di noi se la festa del perdono ci è diventata estranea, o è ridotta ai margini della nostra vita, o il sacramento della riconciliazione è diventato un raro, superficiale episodio?
A scanso di ogni equivoco, mi pare opportuna un’ultima precisazione. A noi pastori capita non solo di dover consolare gli afflitti, ma anche di dover affliggere i “consolati”, coloro che sono stati e sono i veri responsabili dell’afflizione degli afflitti. Anche questa è necessaria e opportuna opera di misericordia: affliggere coloro che si trovano in uno stato di falsa consolazione. E’ chiaro che se bisogna guardarsi dai mercenari della consolazione, bisogna guardarsi pure dai professionisti dell’afflizione. E comunque l’opera di afflizione va compiuta sempre con un cuore puro da ogni contaminazione di rabbia, odio o rancore. E con il fine sempre di provocare al ravvedimento e alla conversione.
Cari presbiteri, aiutiamoci e aiutiamo tutto il popolo santo di Dio – diaconi, ministri, operatori della pastorale della parola, della liturgia, della carità, persone e comunità di vita consacrata, famiglie cristiane, tutti i cristiani laici – a non dimenticare la strada indicataci da quella “nube di testimoni” da san Gaudenzo a s. Amato, fino al beato Alberto Marvelli, a don Oreste Benzi, alla venerabile Sandra Sabattini. Ed è proprio da questi ultimi che vorrei ricordare il segreto di una vita consolata e consolante.
“Quale gioia poter asciugare anche una sola lacrima” (A. Marvelli).
“Io non penso mai a me stesso” (Don Oreste).
“Ora si tratta di una cosa sola: scegliere. Ma cosa? Dire: sì, Signore, scelgo i più poveri, ora è troppo facile, non serve a niente se poi quando esco è tutto come prima. No, dico: scelgo Te e basta.” (Sandra Sabattini)
Rimini, Basilica Cattedrale, 28 marzo 2018, Mercoledì Santo
+ Francesco Lambiasi