Omelia del Vescovo per il 50° di fondazione di CL e in memoria di don Luigi Giussani
Non fu certo una crisi d’identità quella che provocò Gesù a porre la duplice domanda ai Dodici, quel giorno alle pendici dell’Hermon, nei pressi di Cesarea di Filippo, nel punto più lontano da Gerusalemme, in piena zona pagana. La prima domanda: “La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?” fu molto di più che uno dei più celebri sondaggi d’opinione che mai siano stati condotti sotto il cielo.
1. Le risposte dei discepoli censirono opinioni tutt’altro che trascurabili: Giovanni Battista, Elia, Geremia erano considerate le figure religiose più eminenti del passato, ma avevano in comune che erano tutte già morte. Scambiare il Vivente per un personaggio ormai defunto è il modo più elegante per eliminarlo. Di qui la seconda domanda: “Ma voi chi dite che io sia?”. Quel “ma” sta a dire che Gesù, dai suoi primi compagni, si aspetta impaziente qualcosa di più, di molto di più. Dopo una pausa fatta di interminabili silenzi imbarazzati e di sguardi muti e incrociati, arrivò trafelata la risposta di Pietro: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente!”.
Questa è la prima verità che il vangelo di oggi ci consegna: Gesù è il Cristo, il Figlio del Dio vivente. Questa è la fede cristiana che i primi discepoli hanno maturato e ci hanno comunicato, e che Calcedonia ci avrebbe trasmesso con parole dure come pietre, ma di quelle pietre da cui si cava il fuoco. Gesù è veramente e perfettamente uomo, e veramente e perfettamente Dio. L’alternativa è secca: Gesù o è tutto o è niente. Nel suo La familiarità con Cristo, don Giussani scriveva:
“O Cristo o il niente. Non c’è alternativa tra Cristo risorto e la decadenza totale verso il niente, verso la fermentazione che uccide, altera e uccide. Ma questo è ciò per cui ci svegliamo tutte le mattine: è un orizzonte e un destino, una intensità di vibrazione, è un vivere e un possedere, perché si è posseduti. Ciò da cui tutto parte è l’essere posseduti da Cristo risorto, immersi nel grande Mistero”.
2. La seconda verità riguarda la Chiesa, che Cristo dice di voler edificare e che edificherà con la sua Pasqua e con l’effusione pentecostale dello Spirito Santo. La Chiesa va vista in rapporto al “regno dei cieli”, o “regno di Dio”, del quale regno la Chiesa costituisce “il germoglio e l’inizio. Intanto, mentre va lentamente crescendo, anela al regno perfetto e con tutte le sue forze spera e brama di riunirsi al suo re nella gloria” (LG 5). Pertanto la Chiesa non è il “palazzo”, la fredda, mastodontica struttura di una istituzione ormai sorpassata e retrograda, ma è realtà viva e dinamica. E quando debbo rispondere alla domanda: ma quand’è che è nata la Chiesa? sono autorizzato a rispondere: oggi. Perché la Pentecoste è in atto oggi. E’ un evento sempre in corso. La Chiesa è nata oggi, e dunque non è né vecchia né antiquata, ma è giovane, fresca, esuberante e vivace. La Chiesa è un organismo, non una organizzazione. E un organismo o è vivo o non è un organismo…
3. La terza verità riguarda Pietro. L’umile pescatore, che la parola di Cristo e il fuoco dello Spirito hanno reso “Capo degli Apostoli”, non è il detentore di una “autorità autoritaria”, dittatoriale e neroniana, ma il “fautore” di un servizio necessario ed esigente. Non è la grandezza umana di Pietro che dà autorità alle sue parole. E’ la stessa Parola di Cristo che dà autorità alle parole di Pietro. In fondo la sola autorità nella Chiesa è quella della comunione e quindi dell’amore. Pietro dunque diventa kepha, pietra, roccia, attributo di Dio (Dt 32,4); Is 17,10), come lo fu anche di Abramo, padre dei credenti (cfr Is 51,1s). Così la fede nel Figlio di Dio dona a Pietro-Pietra la stessa prerogativa di Dio. Non bisogna mai dimenticare che ogni autorità può degenerare da servizio che fa crescere a potere che distrugge: lacera la verità, logora la libertà, sciupa l’amore, sfilaccia la comunione. D’altro canto la fatica che tutti provano nell’accettare l’autorità è la stessa che tutti sperimentano nell’accettare la diversità: da quella di Dio a quella dei genitori, educatori e di ogni altro. La diversità può essere vissuta con amore, e allora è principio di comunione e di vita. Ma può essere vissuta con conflitto, e allora è principio di divisione e di morte.
4. Abbiamo letto che, dopo l’udienza concessagli da papa Francesco il 2 febbraio scorso, è stato chiesto a don Carròn qual è il contributo che il magistero del Papa sta dando oggi a Comunione e Liberazione. E don Carròn ha risposto testualmente: “E’ quello di renderci consapevoli di questo cambiamento d’epoca, che lancia una sfida a tutti noi: quella di vedere le modalità concrete con cui la Chiesa si pone oggi di fronte al mondo e alle sfide che ci riguardano tutti”. Concordo in pieno. Oggi non possiamo più procedere né con il “si è sempre fatto così” e nemmeno con una pastorale del cambiamento. Oggi si impone piuttosto un vero e proprio cambiamento della pastorale. E’ la pastorale della Chiesa in uscita, per una evangelizzazione nuova e per la nuova evangelizzazione.
Nella stessa intervista don Juliàn ha raccontato che il Papa ha raccomandato a CL due impegni particolari: l’accoglienza dei migranti e l’accompagnamento dei giovani. Il Papa ha poi ringraziato don Carròn per quanto il vostro movimento già fa su queste due frontiere. E don Carròn si è impegnato ad “assecondare il suo invito a essere centrati in Cristo per vivere come Chiesa in uscita”.
E’ quanto vi raccomando anch’io: essere centrati in Cristo per vivere come Chiesa in uscita.
Rimini, Basilica Cattedrale, 22 febbraio 2018
+ Francesco Lambiasi