Omelia del Vescovo per la s. Messa del Giorno
Nell’alto silenzio che si respira oggi nella nostra cattedrale, mi pare di cogliere – quasi domanda sospesa – l’affacciarsi di un interrogativo pungente: Vescovo, dicci, cosa ci ha portato Gesù venendo in mezzo a noi, se non ci ha portato il benessere, né il progresso, né la pace sociale? E’ vero: Gesù non è venuto come un Babbonatale, a scaricarci addosso un sacco, pieno zeppo di beni materiali. E’ venuto portandoci di più. Molto, moltissimo di più. Ci ha portato se stesso, e così ci ha portato Dio. Gesù è venuto a dirci e a darci Dio. Ci ha aperto fessure e dischiuso feritoie da cui ci è dato di spiare almeno qualche sillaba dell’incandescente e inesauribile mistero di Dio.
1. Certo, è tristemente vero, almeno a prima vista, quanto scandisce l’evangelista Giovanni: Dio, nessuno l’ha visto mai. Ma ecco la novità inimmaginabile e stupefacente: Il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato. Questo è avvenuto con l’incarnazione: La Parola divenne carne e venne ad abitare in mezzo a noi. Notiamo subito quel ‘divenne’. Con questa espressione possiamo definitivamente rimuovere un’idea insopportabile di Dio come di un “motore immobile”, uno strano essere algido, appartato, irraggiungibile. Invece il Dio di Gesù di Nazaret diviene, cioè brucia le distanze, si avvicina e si comunica. Cambia e si adegua. Per farsi vedere, l’invisibile si visibilizza. Per farsi accogliere da noi che siamo limitati, l’illimitato si frammenta e si particolarizza. Si dona tutto e brama di fare tutt’uno con l’altro da sé. Nell’incarnazione si realizza una unione personale tra Dio e l’uomo, si crea una unità così intima e intensa da costituire dei due un solo essere, una sola persona: Gesù Cristo. Da quando si è umanizzato in Gesù, Dio si è come “annidato” in seno all’umanità per generarvi una nuova vita, per piantarvi il seme di un mondo nuovo, per avviare una storia sorprendente, inedita, singolare.
Stupefatti da un evento tanto vertiginoso, ci domandiamo: perché è avvenuto tutto questo? Per amore, solo per amore. Dio Padre ha voluto l’incarnazione o umanizzazione del Figlio, non tanto per avere qualcuno fuori di sé che lo amasse in modo degno di sé, quanto piuttosto per avere qualcuno da amare fuori di sé, in modo degno di sé, cioè senza misura, poiché la misura del suo amore è di amare senza misura. Il Figlio di Dio si fa in tutto uguale a noi nella debolezza, nella sofferenza e perfino nella morte. Perché Dio è amore. E chi ama tende ad avvicinarsi, ad assimilarsi, a congiungersi a colui che ama.
2. Sorpresa dell’incarnazione! La parola incarnazione rinvia alla profondità del mistero di Gesù di Nazaret. La sua storia è la storia del Figlio di Dio divenuto uomo. Non semplicemente la storia di un giusto o di un profeta. Fosse stata semplicemente la storia di un uomo giusto, ci avrebbe soltanto insegnato, sia pure in modo esemplare, come l’uomo debba stare davanti a Dio. Ma questa è una cosa che gli uomini più o meno sapevano già. Invece, dato che Gesù è in persona il Figlio di Dio, la sua vicenda ci ha rivelato come Dio si pone davanti all’uomo e qual è il volto di Dio. Senza la vertiginosa affermazione dell’identità di Gesù con Dio, il cristianesimo scolorisce e finisce per autodistruggersi: da storia della rivelazione di Dio all’umanità, verrebbe irrimediabilmente ridotto a religione della fraternità universale. Ma questa, per quanto alta e nobile, è una costruzione umana, soltanto umana. Ciò che marca la differenza della fede cristiana rispetto alla mentalità religiosa degli uomini è la vicinanza di Gesù con Dio fino alla piena identificazione. A differenza del sentimento religioso dell’uomo: “Quanto più un uomo ha il genio del religioso, tanto meno sente la tentazione di identificarsi col divino” (Don Giussani). Con Gesù e nella persona di Gesù non si registra una infinita distanza tra Dio e l’uomo, ma una strettissima, inscindibile unità.
La verità dell’incarnazione scava un fossato incolmabile anche con la religione ebraica. Noi sappiamo che
“la grandezza del popolo ebraico è dovuta proprio alla sua perenne condanna di ogni pretesa dell’uomo di diventare Dio. Per gli ebrei il peccato più grave consiste nell’attribuirsi un potere divino, nel divinizzarsi: è l’idolatria. (…) Perciò un uomo che rivendica una dignità divina è un bestemmiatore che merita la morte oppure è veramente Dio, e allora bisogna credere in lui” (J. Daniélou).
Fratelli, Sorelle, Amici, l’evento dell’incarnazione e della nascita del Figlio di Dio è sconvolgente. Ma tale è Dio, sempre inquietante. Solo gli idoli lasciano tranquilli. Perciò non dobbiamo mai dimenticare che Gesù è venuto in mezzo a noi non assumendo una umanità general generica, ma quella di un bambino umile e povero. “Tutti vogliono crescere nel mondo, ogni bambino vuole essere uomo. Ogni uomo vuole essere re. Ogni re vuole essere dio. Solo Dio vuole essere bambino” (Leonardo Boff). Scrive san Paolo: “Conoscete la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi della sua povertà” (2Cor 8,9). Se fosse venuto in mezzo a noi nei panneggi sgargianti di un imperatore, o con la divisa di un generale, o con la toga del giudice, la sua apparizione sulla scena della storia non sarebbe stata un’assoluta novità, bensì una prevedibile modalità del tutto conforme alla logica mondana. Invece Gesù di Nazaret si è collocato tra gli ultimi e i più umili fra gli uomini, capovolgendo così le logiche mondane e rivelando un volto di Dio imprevedibile, imprevisto e del tutto inatteso.
L’evento del Natale è pietra di scandalo. La strada che porta a Betlemme è lastricata di solidarietà, di condivisione, di accoglienza dell’immigrato, di protezione del bambino da ogni violenza, di calore per l’anziano solo, di difesa della vita sempre, di tenace impegno per la pace, anche se tutto questo ci crea dei problemi.
Noi non vogliamo che il Natale sia solo una bella festa che passa, ma una grazia che tocca il cuore e, attraverso il cuore, trasforma la vita. E cambia la storia. Questo è il Natale che vogliamo.
Rimini, Basilica Cattedrale, Natale 2017
+ Francesco Lambiasi