Sguardi di Gesù e su Gesù
Omelia del Vescovo nella Domenica delle Palme
Il racconto della Passione del Signore secondo Luca lo potremmo intitolare non, certo, “Delitto e castigo”, quanto piuttosto “Miseria e misericordia”. E alla fine lo potremmo siglare con quel versetto squillante di san Paolo: “Dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia” (Rm 5,20). A rileggerlo con calma e interiore partecipazione, il testo lucano colpisce per un tratto singolare e del tutto originale rispetto agli altri vangeli, per il fatto, cioè, di apparire punteggiato da vari sguardi: sono sguardi di Gesù e sguardi su Gesù. Rileggiamo insieme tre istantanee.
1. Lo sguardo su Pietro
La prima istantanea si rintraccia nel racconto del rinnegamento di Pietro, riportato anche dagli altri tre evangelisti. Ma solo Luca racconta che, quando Pietro spergiurò per la terza volta e il gallo cantò, “allora il Signore si voltò e fissò lo sguardo su Pietro, e Pietro si ricordò della parola che il Signore gli aveva detto: ‘Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte’. E uscito fuori pianse amaramente” (Lc 22,61). Da notare che non è Pietro che si volta verso Gesù, ma è Gesù che si volta verso Pietro. Nello sguardo del Maestro, il primo dei Dodici decodifica le due verità fondamentali e complementari che formano il nocciolo duro del vangelo: la propria avvilente miseria e la sua smisurata misericordia. Se Gesù non lo avesse guardato, Pietro non avrebbe riconosciuto il proprio peccato e neppure avrebbe scoperto che non era lui a dare la vita per salvare Gesù, come aveva impetuosamente protestato qualche ora prima, nel cenacolo, quando si era addirittura sostituito al Maestro con incosciente spavalderia: “Io darò la mia vita per te” (Gv 13,37). Negli occhi di Gesù Pietro legge tutto il male che ha compiuto, e intercetta tutto l’amore di colui che ha vigliaccamente tradito. Guardato con sconfinata tenerezza dal Maestro che poco prima aveva accanitamente misconosciuto, Pietro ha finalmente riconosciuto che era Gesù ad andare a morire per lui, non lui per Gesù. A quel punto il blocco di ghiaccio dell’arrogante presunzione che gli pesava sul cuore come un macigno, al fuoco dello sguardo di Gesù si scioglie in un lago di lacrime, e Pietro si ritrova non giudicato e condannato snza appello, ma perdonato gratuitamente e incondizionatamente amato. E’ l’abbraccio della misericordia.
2. Lo sguardo sulle donne di Gerusalemme
Una seconda istantanea in cui san Luca fissa un incrocio di sguardi tra Gesù e la gente che lo segue sulla via del Calvario si coglie nell’incontro con le donne di Gerusalemme. Queste sperimentano lo stesso sentimento che Gesù ha verso di loro: la compassione. Il Signore le invita a non piangere su di lui, ma su loro stesse, cioè a convertirsi. Gesù infatti non pensa a sé, non piange su di sé, ma è dispiaciuto per il male che si fa chi lo crocifigge. Le sue parole sono il segno più puntuale della sua misericordia. La conversione è possibile proprio ora, perché il legno verde brucia al posto di quello secco. E’ il mistero della misericordia di Dio, che offre perdono anticipato a tutti, perché tutti possano convertirsi ed essere salvi. Dopo la morte di Gesù le donne verranno descritte come tutte intente a “osservare da lontano l’accaduto” (Lc 23,49). Le donne guardano il Crocifisso ormai morto: vi leggono in trasparenza la misericordia di Dio per il mondo, e sono prese dal suo stesso sentimento di indulgenza nei confronti della moltitudine umana, ridotta in miseria dall’egoismo e dal peccato. E’ l’incontro con la compassione.
3. Lo sguardo sul malfattore pentito
La terza istantanea, anche senza un esplicito riferimento allo sguardo di Gesù, si trova nell’episodio del cosiddetto buon ladrone. Luca inquadra il Crocifisso, attorniato da un clima avvelenato, di sfida e di scherno. I capi del popolo lo assalgono per l’ultima volta e scherniscono la sua pretesa messianica. Attraverso la loro voce giunge dal deserto la triplice tentazione satanica: “Se sei il messia di Dio, l’eletto…”. Un messia senza garanzie sicure, senza conferme spettacolari e strabilianti, è sospetto. I soldati fanno eco a questa provocazione: un re impiccato come un criminale è una incontrovertibile smentita di tutte le pretese salvifiche da lui avanzate, e che, solo se ampiamente confermate potrebbero risolvere l’enigma di una morte assurda e scandalosa. Ma Gesù non salva se stesso, non si schioda dalla croce, e in tal modo rivela il vero volto salvatore di Dio. Dio è salvatore non perché tira giù il messia dalla croce, ma perché rimane fedele all’amore anche nella situazione più estrema. Il secondo malfattore può fidarsi di un messia così: è innocente, è disarmato, risponde alla violenza con il perdono, e proprio perché rinuncia a salvare se stesso, può salvare lui e tutti quelli come lui. Di qui l’accorata preghiera: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”. E’ l’unica volta in tutto il NT in cui Cristo viene invocato con il suo nome proprio, senza alcun altro titolo. Ed è una preghiera efficace: “In verità ti dico: oggi sarai con me nel paradiso”. E’ il dono del perdono.
Il messaggio è lampante. Mai la nostra vita è inutile, neanche quando appare esposta a un esito tragico e atroce. Mai siamo condannati a disperare del bene che possiamo fare e che possiamo ricevere. Mai è troppo tardi per redimersi. Mai è troppo tardi per chiedere e dare perdono. Per la misericordia di Dio mai è troppo tardi per usare perfino il peccato per concedere perdono. Mai è troppo tardi per sfruttare perfino la morte per contagiare vita…
Quando il 2 marzo scorso siamo andati a Roma con i detenuti della Casa “Madre del perdono” dell’APG XXIII e Antonello gli ha offerto la “caciotta del perdono”, papa Francesco ci ha detto: “Ricordate: il santo ha sempre un passato. Ma il peccatore ha sempre un futuro”.
Rimini, Basilica Cattedrale, 20 marzo 2016
+ Franceso Lambiasi