La rivelazione e la rivoluzione dell’Incarnazione
Omelia nella Messa del Giorno di Natale
Dal racconto al canto: è il percorso seguito dalla liturgia in queste prime ore del Natale. A mezzanotte abbiamo ascoltato l’evangelista Luca che ci ha raccontato l’evento della nascita di Gesù, ricapitolato in quella mezza riga: Maria “diede alla luce il suo figlio primogenito” (Lc 2,7). Mentre poco fa l’evangelista Giovanni ci ha cantato lo stesso evento, spremendone il messaggio nel lampo di appena cinque parole: “Il Verbo si fece carne”, che si potrebbe tradurre così: “La misericordia si fece carne“. In effetti, se tutta la Bibbia è la storia della divina misericordia che “si estende di generazione in generazione” (Lc 1,50), la novità del Nuovo Testamento rispetto all’Antico è che il Figlio è venuto a dirci e a darci tutta la misericordia del Padre. Non è né un’algida idea né una formula impalpabile a fare la differenza tra i due Testamenti. E’ una persona, in carne ed ossa, e si chiama Gesù, il misericordioso Figlio del Padre misericordioso.
1. Ecco la novità dell’incarnazione: siamo passati dall’attesa al compimento. Dio “si è ricordato della sua misericordia” e “della sua santa alleanza”; “ha spiegato la potenza del suo braccio”; “ha soccorso Israele suo servo”. Il tempo grammaticale di questi verbi è il passato prossimo: è il tempo per cantare e raccontare un evento che è cominciato nel passato e si prolunga nel presente. Ma se vogliamo tentare di scandagliare in che cosa consista la novità dell’Incarnazione, la troviamo nella ouverture di quella sorta di sinfonia dedicata a Gesù, sacerdote misericordioso e degno di fede, qual è la Lettera agli Ebrei:
Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per
mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del
Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il
mondo (Eb 1,1-2).
Ormai, per parlarci dell’incalcolabile dono della sua misericordia, Dio non si serve più della lunga sequenza dei suoi portavoce (i profeti), ma interviene “di persona”. Scrive san Paolo: “E’ apparsa la grazia, che porta salvezza a tutti gli uomini” (Tt 2,11), e canta:
Ecco che Dio Salvatore ci ha rivelato la sua bontà e il suo amore per gli uomini. Noi non abbiamo fatto nulla che potesse piacere a lui, ma egli ci ha salvati perché ha avuto pietà di noi (Tt 3,4s).
Commenta sant’Agostino:
Poteva esserci misericordia verso di noi infelici maggiore di quella che indusse il Creatore del cielo a scendere dal cielo e il Creatore della terra rivestirsi di un corpo mortale? Egli che nell’eternità rimane uguale al Padre si è fatto uguale a noi nella natura mortale. Quella stessa misericordia indusse il Signore del mondo a rivestirsi della natura del servo (Serm. 207,1).
2. Due inalienabili attributi di Dio sembrano “fare ombra” alla piena rivelazione della misericordia divina, quale traspare nell’evento dell’incarnazione. Il primo è l’onnipotenza. Nel Natale Dio pronuncia il suo più potente no al peccato e il più benevolo sì ai peccatori. “Dio – scrive san Paolo – per togliere il peccato, ha mandato suo Figlio in una condizione simile alla nostra di uomini peccatori, e ha condannato il peccato” (Rm 8,3, TILC), e così ha salvato i peccatori. Onnipotenza e amore in Dio non sono né giustapposti né tantomeno contrapposti, e neppure si rapportano in proporzione inversa, ma sono in vitale relazione tra di loro. Mai Dio è così onnipotente come quando preferisce ridursi all’impotenza per usarci misericordia, e mai Dio è così misericordioso come quando esercita la sua onnipotenza per ridursi all’impotenza. “È proprio di Dio usare misericordia, e specialmente in questo si manifesta la sua onnipotenza” (S. Th. II-II, q. 30, a. 4).
Ma c’è un altro attributo di Dio che sembra del tutto inconciliabile con la misericordia, ed è la sua giustizia. Non c’è dubbio: risulta del tutto inaccettabile pensare che nell’Antico Testamento si riveli la giustizia di Dio e nel Nuovo si manifesti la sua misericordia. Basti vedere come nella “carta di identità” che Dio esibisce a Mosè sul Sinai, sia schiacciante, se non stratosferico il numero delle volte in cui il “Dio misericordioso e pietoso perdona la colpa e la trasgressione per mille generazioni”, mentre “castiga il peccato dei padri nei figli e nei figli dei figli, fino alla terza e quarta generazione” (Es 34,5-7). Si noti la proporzione, o meglio la “sproporzione”: si potrebbe dire che la misericordia divina superi la giustizia per… mille a quattro! Comunque il contrasto tra misericordia e giustizia sembra attraversare tutto l’Antico Testamento. Ad esempio i salmi cantano ora l’uno, ora l’altro di questi aspetti: ora il Dio che perdona, ora il Dio che castiga. C’è un salmo intitolato: “Ode al Dio terribile”, in cui di Dio si dice che è “irresistibile, quando si scatena la sua ira” (Sal 76). E c’è un altro salmo, dove dello stesso Dio si dice che è “misericordioso e pietoso, lento all’ira e grande nell’amore” (Sal 145).
Ma nel Natale comincia a sfolgorare una misericordia che appare del tutto immeritata, gratuita, preveniente: Dio ci ha amati per primo, e quando noi eravamo ancora peccatori, quindi gli eravamo nemici (cfr 1Gv 4,19; Rm 5,8s). E la giustizia? Questa parola non indica il castigo di Dio o, peggio, la sua vendetta, ma denota l’atto della divina misericordia che rende giusto il peccatore. Non è una giustizia “giustiziera”, ma una giustizia “giusti-ficante”, ossia che fa e rende giusti. Insomma Dio si fa giustizia convertendoci da peccatori a giusti, e quindi facendo misericordia.
C’è un passo nella bolla di indizione del Giubileo straordinario della misericordia, in cui papa Francesco mette in rapporto giustizia e misericordia in modo pienamente coerente con il Vangelo:
Se Dio si fermasse alla giustizia cesserebbe di essere Dio, sarebbe come tutti gli uomini che invocano il rispetto della legge. Per questo Dio va oltre la giustizia con la misericordia e il perdono. Ciò non significa svalutare la giustizia o renderla superflua, al contrario. Chi sbaglia dovrà scontare la pena. Solo che questo non è il fine, ma l’inizio della conversione, perché si sperimenta la tenerezza del perdono. Dio non rifiuta la giustizia. Egli la ingloba e supera in un evento superiore dove si sperimenta l’amore che è a fondamento di una vera giustizia (MV 21).
Il vangelo del Natale è il vangelo del Vangelo. La rivelazione della Misericordia fatta carne porta alla rivoluzione della misericordia: se Dio ha voluto essere trattato come uomo, ogni uomo deve essere trattato come Dio.
Preghiamo il Dio Bambino di Betlemme con la preghiera del Giubileo:
“Signore Gesù Cristo, tu sei il volto del Padre invisibile,
del Dio che manifesta la sua onnipotenza
soprattutto con il perdono e la misericordia:
fa’ che la Chiesa sia nel mondo il volto visibile di te,
suo Signore, nato a Betlemme, crocifisso e risorto nella gloria. Amen”.
Rimini, Basilica Cattedrale, 25 dicembre 2015
+ Francesco Lambiasi