Basta dire “martiri”, e abbiamo già detto tutto. Il tutto della nostra fede: delle sue antiche radici, del suo cuore pulsante, della sua inossidabile attualità.
La Chiesa è nata dal cuore squarciato del Crocifisso, il quale aveva preannunciato: “Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi”. La Chiesa del Crocifisso non è nata per combattere la guerra santa e neppure per condurre un’altrettanto santa – per modo di dire! – ma non meno sanguinosa crociata. La Chiesa di Cristo è nata martire. Come Gesù, il martire cristiano non è un suicida, che si uccide per togliersi la vita, né un kamikaze, che si uccide per uccidere e togliere la vita degli altri. E’ un discepolo che offre la propria vita per far trionfare l’amore, ma non è come chi elimina quella degli altri per far vincere l’odio e il fanatismo omicida.
Il martirio è nel dna della vita cristiana. Il Maestro aveva detto: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la propria vita per i propri fratelli” (cfr Gv 15,13, 1Gv 3,16). E Gesù ha firmato un ideale così vertiginoso con il suo sangue. Ciò comporta che tutti i cristiani, in virtù del battesimo, devono “essere pronti a confessare Cristo davanti agli uomini e a seguirlo sulla via della croce, nelle persecuzioni che non mancano mai alla Chiesa” (LG 42).
Oggi il martirio è ritornato di grande attualità. Alcune agenzie internazionali affermano, dati alla mano, che il 2014 è stato “l’anno con il più alto livello di persecuzione globale dei cristiani dell’era moderna” (Rapporto “World Watch”) e che “il calo costante è tale che molti cristiani temono che le loro chiese si trasformeranno in musei piuttosto che luoghi di culto” (Center for American Progress). Secondo questi rapporti, dunque, nel mondo muore martire un cristiano ogni cinque minuti!
Noi siamo qui questa sera per confermare i punti esclamativi della giustizia, quella integralmente umana, la cui ultima parola fa rima con la prima della giustizia evangelica. Non è giusto che davanti al persistere di tanta brutalità omicida, travestita di religione, subentri l’assuefazione e quindi l’indifferenza! Non è giusto spegnere i riflettori e stare in silenzio, lasciando che la carneficina continui: sarebbe diventarne conviventi, imperdonabilmente colpevoli di fronte al tribunale di Dio e della storia! Non è giusto coprire con parole politically correct o con un complice silenzio il fanatismo omicida dell’Isis e similari! Non è giusto coltivare rapporti economici o geopolitici, soprattutto se segreti, con le centrali del terrorismo internazionale: nessuno commerci con la vita umana! Non è giusto eliminare anche un solo cristiano soltanto perché è cristiano: nessuno calpesti in modo tanto brutale il sacrosanto diritto di professare la propria fede!
Ma a questa litania di punti esclamativi, dobbiamo aggiungere anche qualche punto interrogativo: come mai chi nasce e cresce all’ombra della civiltà occidentale decide di voltarle le spalle, di sprofondare nella voragine maledetta dell’odio senza quartiere, sognando un martirio alla rovescia? Che cosa (non) hanno offerto a questi ragazzi votati alla morte le nostre città gonfie di tutto e piene di niente?
Ma c’è un altro interrogativo che riguarda direttamente noi cristiani del nord-ovest del mondo, e al quale non possiamo minimamente sottrarci: se dovesse scoppiare una violenta persecuzione, qui in casa nostra, per quali colpe a nostro carico dovremmo essere condannati al martirio, e non, invece, venire tranquillamente assolti per insufficienza di prove?
Rimini, Piazza Tre Martiri, 23 maggio 2015
+ Francesco Lambiasi