Perché ogni parrocchia diventi “isola di misericordia”
Messaggio del Vescovo per la Quaresima 2015
“Isole di misericordia in mezzo al mare dell’indifferenza”: così papa Francesco guarda alle parrocchie nel messaggio per la Quaresima 2015, e introduce il relativo paragrafo con un nutrito grappolo di domande: “Si riesce (nelle nostre comunità parrocchiali) a sperimentare di far parte di un solo corpo? Un corpo, che conosce e si prende cura dei suoi membri più deboli, poveri e piccoli? O ci rifugiamo in un amore che si impegna lontano nel mondo, ma dimentica il Lazzaro seduto davanti alla propria porta chiusa?”.
Vorrei ritornare su questo passaggio dedicato al rapporto tra poveri e parrocchia, e inquadrarlo nell’orizzonte della missione straordinaria, verso la quale ci stiamo incamminando.
1. Per prendere quota in una riflessione che non si voglia piatta e scontata, occorre tenere presente che, se è vero che non c’è evangelizzazione senza scelta preferenziale dei poveri, è altrettanto vero che questa scelta, prima di essere la risposta ad un imperativo morale, è l’affermazione di un indicativo teologico. E’ un’autentica rivelazione. Mi spiego. Se Gesù ha accolto i poveri, se ha privilegiato gli ultimi e gli esclusi, se si è chinato su emarginati e sofferenti, non è stato solo per una scelta etica o ascetica o per una sofisticata strategia pastorale, ma per una missione di natura teologica. Se ha fatto così, è perché voleva in tal modo rivelare il volto di Dio e la natura del suo regno. Se non avesse fatto la scelta dei poveri e degli ultimi, avrebbe rivelato un Dio diverso, non il Dio che sceglie di farsi povero “per arricchirci con la sua povertà” (2Cor 8,9). Così è per la Chiesa: la scelta dei poveri non è un optional pastorale che riguarda il suo agire, bensì una condizione indispensabile per mostrare il suo essere.
Ma papa Francesco ci invita a non guardare solamente ai poveri come semplici destinatari della nostra azione evangelizzatrice, ma a vederli come dei veri soggetti da cui noi siamo chiamati a lasciarci evangelizzare.
“Dio concede loro la sua prima misericordia… Per questo desidero una Chiesa povera, per i poveri. Essi hanno molto da insegnarci. Oltre a partecipare del sensus fidei, con le proprie sofferenze conoscono il Cristo sofferente. E’ necessario che tutti ci lasciamo evangelizzare da loro. La nuova evangelizzazione è un invito a riconoscere la forza salvifica delle loro esistenze e a porle al centro del cammino della Chiesa. Siamo chiamati a scoprire Cristo in loro, a prestare ad essi la nostra voce nelle loro cause, ma anche ad essere loro amici, ad ascoltarli, a comprenderli e ad accogliere la misteriosa sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro”(EG 198).
Lasciarci evangelizzare dai poveri: è una opzione preferenziale da mostrare con fatti di vangelo, non una teoria da dimostrare con argomentazioni astruse e complicate. Facciamoci dare una mano da Don Oreste, che se ne intendeva.
“Ho visto un giovane spingere una carrozzella con sopra un tetraplegico.–Ognuno dei due spingeva l’altro. Nel senso che il giovane metteva a servizio dell’handicappato la propria forza e l’handicappato donava se stesso al giovane trasformandolo interiormente. Se dovessimo pronunciarci chi dei due dona di più, vincerebbe ai punti il portatore di handicap. Infatti un bambino malato di Aids, un handicappato, un sordomuto, smuove il cuore umano e libera in esso le tendenze più belle e profonde. smuove l’amore, la tenerezza, il senso della vita, fa capire le cose che contano, suscita la santità, e dona una gioia senza fine. Yasmine, una nostra bambina di 7 anni, che non aveva più difese nel suo organismo, ha sconvolto decine di giovani riportandoli al gusto di vivere in positivo, e facendo ritrovare loro Gesù Cristo come arbitro della loro vita. Lucia, ragazza quindicenne in carrozzina, è venuta velocemente da me, finita una riunione. Vedendola provai commozione ‘Che cosa ti è successo?’ le domandai.’Un tumore’ mi ha risposto.’Prego Gesù che ti guarisca’ le dissi.’No, don, non chiedere che io guarisca, perché io ho chiesto a Gesù di rimanere così’. ‘Perché?’ replicai.’Perché, mi rispose, Gesù attraverso me in carrozzella può fare quel bene che non potrebbe fare se io camminassi’. Matta? Ha giudizio? Qual è la risposta giusta?”.
2. Stiamo camminando verso la missione diocesana. Tra parentesi, spero che i miei continui riferimenti a questo evento non vengano visti come del tutto retorici e scontati o, peggio, come buoni solo a ingenerare ansie da prestazione e a scatenare impazienze o curiosità intrattenibili. Piuttosto mi domando con voi: se è vero che la Quaresima deve aiutarci a produrre “frutti degni di conversione” (Lc 3,8) quali frutti e segni di conversione missionaria possono venirci da passi semplici ed efficaci che tutti possono fare, più che sognare una missione dagli “effetti speciali”?
Ritengo che occorra riapprendere la grammatica della carità più informale e ordinaria, basata sull’alfabeto delle piccole risposte ai piccoli bisogni quotidiani. Penso ai vicini di casa. Non è possibile creare una rete più fitta di solidarietà tra i vicini? Ad esempio, offrendo la propria disponibilità per accompagnare e andare a riprendere a scuola anche i figli degli altri. Tenendoli in casa quando i genitori non ci sono. Oppure, lo scambio di piccoli favori: “Vado a fare la spesa: ti serve qualcosa?”. “Ho preparato un dolce; venite anche voi?”. Ancora: incoraggiare i propri figlioli più grandi ad aiutare i vicini di casa più piccoli a fare i compiti. Inoltre ci sono troppi anziani e disabili soli in casa: non possiamo sollecitare l’impegno per conoscere queste situazioni nella propria via o quartiere o condominio e attivarsi con visite spontanee? Altro campo: gli immigrati o i nuovi vicini di casa. Come sarebbe bello riscoprire il linguaggio dell’ospitalità, del bere un caffè insieme!
Senza la trama di relazioni normali, senza l’ordito di legami gratuiti e informali, a che cosa si riducono gli eventi organizzati con tanto di canti, balli e cibi interculturali? Una carità così spicciola e simpatica – la carità del “bicchiere di acqua fresca” – meno si vede e più profuma di gratuità evangelica. E ci trasforma in discepoli-missionari quasi senza farcene accorgere.
Buon pellegrinaggio verso la Pasqua, fratelli e sorelle, e che ogni tappa del nostro cammino sia come una “stazione quaresimale” in cui allenarci a riconoscere nel volto dei fratelli più poveri i tratti del volto di Cristo. E questa sarà la nostra vera missione: lasciarci evangelizzare dai poveri per evangelizzare da poveri.
Rimini, 17 febbraio 2015, Mercoledì delle Ceneri
+ Francesco Lambiasi