Caro Gesù Bambino,
cosa c’è di più semplice che formulare gli auguri di Natale alla mia gente? Eppure quest’anno sto facendo una fatica boia a scrivere due righe non banali, e così ricorro a te, perché tu certamente mi darai una mano. Del resto la cosa ti riguarda da vicino, non ti pare?
Ecco, se la Notte Santa potessi fare il giro della città, suonare a tutti i campanelli, parlare a tutti i citofoni, gridare dalla strada sotto ogni finestra illuminata, vorrei dire semplicemente così: “Buon Natale, brava gente! Il Signore è sceso in questo mondo disperato. E all’anagrafe umana si è fatto registrare con un nome che è tutto un programma: Emanuele! Che vuol dire: Dio con noi. E da quando è venuto ad abitare in mezzo a noi, non se n’è più andato: ancora non si è stancato di starsene quaggiù da noi! Forza, amici belli: con Gesù che nasce, rinasce la speranza!”.
Caro Gesù, mi domando se formulati così, magari all’interno di un piano-bar dove c’è gente – tra panettoni e champagne – che beve, fuma e si stordisce… O alla Stazione Ferroviaria dove barboni alla deriva tentano un riparo al freddo e al gelo, e qualcuno ci trova anche la morte, come è successo l’altra notte… Fare auguri così, lungo la Statale, a tante povere prostitute, trattate perfino quella santa Notte da merce di scambio… O a folle di extracomunitari che sono qui a Rimini e ai quali noi cristiani ancora non siamo riusciti a dimostrare con i fatti di credere che Gesù è venuto anche per loro… mi domando: che effetto faranno auguri così?
E allora? Dovrei puntare più basso? Dovrei parlare un linguaggio più soft? No, caro Gesù, non me la sento di fare sconti al tuo vangelo. Per due sante ragioni. La prima: è proprio nei tempi di crisi che noi cristiani siamo chiamati ad annunciare speranze sempre più grandi di tutte le attese del mondo. La seconda: non è poi vero che non ci sia in giro nessun germoglio di speranza. Finché la nostra Città potrà avere una Capanna di Betlemme e una Caritas dove tanta povera gente può trovare pane, panni e un letto caldo. Finché ci sono giovani che vanno a passare il Natale a Nairobi, tra i bambini di strada. Finché c’è una Marilena Pesaresi o un giovane Massimo Migani, o una dottoressa Gemmani che lasciano tutto per andare a servire i poveri in paesi tra i più poveri del mondo, allora possiamo seminare speranza: certamente fiorirà e porterà frutto.
Perciò ti chiedo un regalo. Metti una spina in noi cristiani di Rimini e facci capire che il modo più bello di prolungare la Messa di Natale è aggiungere un posto a tavola, per un povero, un extracomunitario, un anziano solo… Magari, non solo il 25 dicembre, ma anche dopo.
E sarà un vero, buon Natale, caro Gesù!
+ Francesco Lambiasi