Omelia del Vescovo nella Messa esequiale per il giovane Matteo Circelli
Signore, se tu fossi stato qui: qui adesso, qui subito, qui come sembrerebbe a noi giusto di poterci e doverci attendere da un Figlio di Dio, Fratello e Amico nostro, come te. Se tu fossi qui, dove un termoreattore nucleare ci risolve tanti problemi e basta un piccolo guasto per crearcene tanti altri e di molto più gravi. Se tu fossi qui adesso, quando stanno agonizzando tanti poveri vecchi abbandonati e basta un kamikaze per far saltare in aria dei poveri bambini innocenti. Se tu fossi quaggiù, dove i nostri mari fanno da cimitero a tanti profughi, dove l’azzurro dei nostri cieli viene oscurato giorno e notte dalle nubi ammorbanti di interminabili roghi tossici, dove i nostri marciapiedi fanno da letto alla carne innocente di tanti poveri barboni. Se tu fossi stato qui vicino, l’altro ieri sera, quando la macchina con Matteo e compagni stava sbandando…
Caro papà Renato, cara mamma Nicoletta, carissima sorellina Vale, permettetemi di accostarmi a voi con rispetto e tenerezza, e di dirvi anzitutto: Non abbiate paura di porre a Gesù questa domanda: ‘Dov’eri, Signore buono, sabato sera, alle 22,30?’. State sereni: Gesù non si offende nel vedersi investito dal vostro dolore, perché lui stesso ha urlato verso il cielo, dall’alto della croce, quel 14 di nisan dell’anno 30: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. E permettetemi anche di fare mia la domanda che piùvi brucia in cuore e che io non solo non ho alcun diritto di censurare, ma che, anzi, ho il dovere di assumere e di sottoscrivere a due mani. Ma prima ancora, permettetemi di piangere insieme a voi, e insieme a voi di mettermi in ascolto della voce di Matteo. Sì, non è vero che i nostri morti non parlano. Alludendo al giorno della propria morte, Don Oreste aveva scritto: “Nel momento in cui chiuderò gli occhi a questa terra, la gente che sarà vicino dirà: è morto. In realtà è una bugia. Sono morto per chi mi vede, per chi sta lì. Le mie mani saranno fredde, il mio occhio non potrà più vedere, ma in realtà la morte non esiste perché appena chiudo gli occhi a questa terra, li apro all’Infinito di Dio.”
Oggi, Sorelle e Fratelli carissimi, Matteo dice a me e a tutti voi: “Caro papà, cara mamma, cara Vale, cari amici tutti, al vostro posto anch’io chiederei al Signore perché mi ha strappato dal vostro abbraccio. Ma ora non glielo chiedo più. Anzi io vi autorizzo a dirgli: ‘Signore, non ti chiediamo perché ci hai tolto Matteo; ti ringraziamo perché ce l’hai donato’. Adesso io ‘mi illumino d’immenso’ nella luce di Dio e capisco che Gesù non è venuto sulla terra per spiegarci l’enigma del dolore, ma per trasformarlo in un mistero d’amore. L’enigma è un giallo; il mistero è un’avventura. E’ una traversata con una fragile barca a vela, su un mare agitato, spesso in tempesta. E Gesù ci chiede di salire in barca con noi. Noi non siamo padroni del vento, ma lui ci aiuta a orientare la vela e a non fare naufragio: il suo nome è Salvatore. Gesù non ci salva rifilandoci sofisticate elucubrazioni sul dolore, ma trasformando il dolore in un amore ancora più limpido e forte. Non elimina il male, ma non solo ci abilita a non lasciarcene vincere, ma piuttosto avincerlo con un bene infinitamente più grande. Noi vorremmo miracoli, ma lui ci dona se stesso. E’ morto in croce e ha fatto di una morte totalmente ingiustificata la possibilità di un amore totalmente incondizionato. Gesù era lì l’altra sera per non farmi precipitare nella cieca voragine del nulla. Era lì, pronto per trasformare la mia caduta in un volo verso l’infinito.
“Ora, babbo, mamma, Vale, fatemi asciugare le vostre lacrime. Io so che voi mi avete voluto bene e anch’io ve ne ho voluto. Ecco, per il bene che ci siamo voluto, vi devo chiedere una promessa: tutte le volte che penserete a me, promettetemi di asciugare qualche lacrima intorno a voi. Questo sarà il balsamo per la vostra ferita che continuerà a sanguinare: alleviare il dolore degli altri. Vi prego, prestatemi le vostre mani e il vostro buon cuore per fare quello che nel mio piccolo ho cercato di fare e che vorrei continuare a fare. Ho chiesto a Gesù di farmi passare il mio cielo sulla terra per esercitare il ministero della consolazione per tanta povera gente che soffre. Promettetemi di entrare nella mia “cooperativa delle mani aperte e delle braccia spalancate” per abbracciare e dare una mano a quanti soffrono. E io sarò l’angelo che vi aiuterà a mantenere questa promessa.
Vostro per sempre, Matteo”.
La sua anima e le anime di tutti i fedeli defunti, per la misericordia di Dio, riposino in pace.
– Poggio Berni, 19 novembre 2014 –
+ Francesco Lambiasi