Omelia del Vescovo durante la Messa per la Giornata per la vita
La speranza è una medaglia a due facce. Da un lato porta scritto: Finché c’è vita, c’è speranza. Dall’altro: Finché c’è speranza, c’è vita. Il vecchio Simeone non solo spera perché è ancora al mondo, ma soprattutto è ancora al mondo perché spera. La speranza, che questo “uomo giusto e pio” si porta in cuore, è figlia della promessa preannunciatagli dallo Spirito Santo: “che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore”. Oltre che figlia della promessa, la speranza di Simeone, è anche sorella della memoria: la memoria di una salvezza già sperimentata da Israele, perché il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe, il Signore di Mosè, di Davide e Isaia non è mai rimasto insensibile al grido di dolore che di volta in volta gli è salito dal suo popolo. Questo vegliardo dagli occhi ardenti è una palpitante icona della tenace speranza dell’umanità, perché si porta dentro un cuore forte e giovane: alla sua età nutre ancora l’invincibile audacia di “aspettare la consolazione di Israele”.
1. Oggi, Giornata per la Vita. La celebriamo sullo sfondo di un quadro che è un autentico inno alla vita. Quello pennellato da Luca, è un quadro suggestivo, carico di messaggi. La vita sta al centro: nel piccolo Bambino presentato da Maria e Giuseppe, in quel fazzoletto di carne che scalcia e sussulta tra le braccia di Simeone si concentra in germe il futuro di un mondo nuovo. Ma per vivere, la vita ha bisogno di essere accolta nel cerchio caldo di una solidarietà intensa, un amore vibrante di grato stupore. Come nella scena del tempio, immagine tipo di ogni nostra famiglia.
Alla Federazione internazionale dei medici cattolici, lo scorso 20 settembre 2013, papa Francesco ha detto che “ogni bambino non nato, ma condannato ingiustamente ad essere abortito, ha il volto di Gesù”. Nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium, il papa riconosce che taluni ridicolizzano la difesa che la Chiesa fa delle vite dei nascituri presentando la sua posizione come qualcosa di oscurantista e conservatore. Francesco ribadisce che “la difesa della vita nascente è intimamente legata alla difesa di qualsiasi diritto umano” e che un essere umano “è un fine a se stesso e mai un mezzo per risolvere altre difficoltà”. I bambini nascituri, che sono i più indifesi, fanno parte di quella cerchia di deboli, di cui la Chiesa vuole prendersi cura con predilezione, perché si cerca di negare loro la dignità umana per poterne fare ciò che si vuole (cfr n. 213).
Forti le due affermazioni nel documento del vescovo di Roma: egli sottolinea che “non è progressista pretendere di risolvere i problemi eliminando una vita umana. Però è anche vero che abbiamo fatto poco per accompagnare adeguatamente le donne che si trovano in situazioni molto dure, dove l’aborto si presenta come una rapida soluzione alle loro profonde angustie, particolarmente quando la vita che cresce in loro è sorta come conseguenza di una violenza o in un contesto di estrema povertà” (n. 214).
In questi ultimi decenni, l’uomo ha messo le mani sulla vita, ma ha perso di vista il senso e il valore irrinunciabile dell’esistenza umana. Scriveva don Primo Mazzolari nella sua opera Il compagno Cristo: “Manovali, inesperti e supponenti, pretendiamo di saper manovrare il delicatissimo congegno della vita, senza tener conto di Colui che l’ha messa insieme dal nulla, e nelle nostre mani si spezzano i nostri più alti destini. Non Dio, ma l’uomo fa paura; non il comandamento di Dio, ma il comandamento dell’uomo”.
Un cantautore recentemente scomparso ha dichiarato che la vita “è sempre importante, non soltanto quando è attraente ed emozionante, ma anche quando si presenta inerme e indifesa. L’esistenza è uno spazio che ci hanno regalato e che dobbiamo riempire di senso, sempre e dovunque. Salvare una vita è come salvare il mondo. Ci vorrebbe una carezza del Nazareno” (Enzo Iannacci).
Oggi è urgente superare la “cultura dello scarto”, che schiavizza il cuore e l’intelligenza di tanti: essa richiede di eliminare esseri umani, soprattutto se fisicamente più deboli. La risposta quindi è un deciso sì alla vita, un sì senza se e senza ma. Il primo diritto di una persona umana è quello alla vita, che è un bene fondamentale, alla base di ogni altro diritto.
2. Ma è indispensabile andare alla radice di questa “peste che vaga nelle tenebre” di un mondo, il nostro europeo, sempre più obeso e depresso. E’ la pandemia dell’individualismo: si privilegiano i diritti individuali e si scartano quelli comunitari. Si finisce così per sbilanciarsi sulla inarrestabile china di un baratro spaventoso e disperante: diritti per ciascuno e futuro per nessuno.
Ancora una volta la Chiesa, ben lungi dal rimanere ancorata a un passato remoto e rimosso, ben lungi dal restare “fissata” su valori che alcuni ritengono superati e ormai archiviabili, la comunità cristiana guarda avanti e ricorda che i figli sono il futuro. Una verità che, però, si deve tradurre in impegni concreti. Le strade per farlo sono molteplici. Da quella, sul piano pubblico e politico, dell’iniziativa Uno di Noi intrapresa dai cittadini di 28 Paesi europei – con circa 2 milioni di firme raccolte a favore della tutela dell’embrione – a quelle più sociali e familiari del sostegno e dell’aiuto perché “la nostra società ha bisogno, oggi, di solidarietà rinnovata, di uomini e donne che la abitino con responsabilità. E siano messi in condizione di svolgere il loro compito di madri e padri, impegnati a superare l’attuale crisi demografica e, con essa, tutte le forme di esclusione”. Un’esclusione che tocca, in particolare, chi è ammalato e anziano, magari con il ricorso a forme mascherate di eutanasia” (dal Messaggio dei Vescovi italiani).
Un popolo che non si prende cura degli anziani, dei bambini e dei giovani è una società senza futuro, un popolo condannato ad attraversare un freddo, triste inverno, senza poter vedere i germogli di una primavera che un giorno dovrà pur fiorire. Che l’alba di quel giorno non tardi ad arrivare!
– Rimini, Basilica Cattedrale, 1 febbraio 2014 –
+ Francesco Lambiasi