Omelia tenuta dal Vescovo in occasione della professione perpetua di Sr Serena Vasconi della Congregazione delle Suore Francescane dell’Immacolata di Palagano
Villa Verucchio, 4 dicembre 2011
Due voci attraversano il campo uditivo del vangelo appena proclamato: la voce aspra e tagliente di Giovanni Battista e quella non meno asciutta ma felice dell’evangelista Marco. Giovanni annuncia la venuta dell’Atteso; Marco proclama l’identità del Venuto. Il Battista grida la buona notizia dell’arrivo imminente di Uno “più forte di lui”. L’evangelista comunica il lieto messaggio o “vangelo” di quell’Uno ormai venuto in mezzo a noi: è Gesù, il Messia (Cristo), il Figlio di Dio in persona. Ambedue richiedono la conversione, ambedue reclamano che si prenda sul serio l’evento prossimo venturo o già avvenuto. Ma per il primo la conversione richiesta a quanti accorrevano al Giordano è la condizione perché l’incontro con il Messia accada. Per l’altro, l’evangelista, la conversione è piuttosto la conseguenza del fatto che l’evento è già accaduto. Oggi carissimi fratelli e sorelle, a queste due voci, se ne aggiunge una terza. Non è una voce “fuori campo”: è la voce di suor Serena, che davanti a questa assemblea, promette oggi un sì totale, senza calcoli e senza riserve, senza pretese e senza rimpianti, insomma senza se e senza ma. Oggi questa nostra sorella dichiara solennemente il suo sì radioso e raggiante, al suo unico Sposo e Signore.
1. Cara suor Serena, mi hai raccontato che la tua vita trascorreva tranquilla – come quella di tanti altri nel tuo paesino, Guastalla, nella bassa reggiana – tra famiglia, scuola, parrocchia, calcio e danza classica. Poi hai cominciato ad avvertire che tutto questo non ti bastava. Come mai? eppure si trattava di cose tutt’altro che brutte e cattive. Ma né l’onestà e neanche la bontà ci regalano la felicità. Tu ti portavi dentro un’arsura bruciante: eri assetata di un amore puro, incontaminato, assoluto. Negli anni in cui una ragazza custodisce in corpo e in cuore la promessa della donna che sarà, devi avere sperimentato la spina dell’inappagamento e deve averti preso la vertigine del nulla. A che serve amare, lavorare, sacrificarsi – ti sarai detta – se poi la morte mi fa lo sgambetto dietro una curva e in un attimo mi scippa tutto quello che ho amato, scoperto, sognato e faticosamente costruito? Stavi per dare ragione ad Emil Cioran, filosofo rumeno, il quale a proposito della morte, ha scritto: “Non c’è un altro problema. Non ho fatto niente nella mia vita proprio perché ero al tempo stesso liberato e paralizzato da quel pensiero della morte. Non si può avere un mestiere quando si pensa alla morte; si può soltanto vivere come ho vissuto io, al margine di tutto, come un parassita”. No, finire per vivere “al margine di tutto, come un parassita”, a te proprio non andava.
Fu allora che ti raggiunse una notizia, la buona notizia. Non fu una formula ferrea, troppo gelida e dura per accendere il cuore. Non fu un sogno al cardiopalmo che, appena apri gli occhi alla vita, ti si scioglie tra le mani come un cubetto di ghiaccio. Fu una bella notizia, la più bella, questa: che Uno ti aveva amato e aveva sacrificato la sua vita per salvare la tua. Fu allora che ti lasciasti abbagliare dal suo Volto e incontrasti l’amore. Me lo hai raccontato tu: “E’ stato il fermarmi per tanto tempo davanti al Crocifisso della mia chiesa a farmi apprendere l’amore con il quale ero amata, e come questo amore era superiore all’amore stesso per un ragazzo. L’amore di Cristo ha superato l’amore per una creatura!”. E come per ogni folgorazione d’amore, tu ti porti tatuata sul cuore la data dell’incontro fatale: era il 4 ottobre 2002.
E la morte? La morte è un fatto della vita. In my beginning is my end (Nel mio inizio è la mia fine). E’ stato così anche per lui, il tuo amatissimo Sposo crocifisso, l’unico tra i fondatori di grandi religioni a morire martire, ma senza neanche l’aureola del martirio. Sì, lui è morto per dare tutto, e tutto ha dato. Neanche il suo corpo ha tenuto per sé, neanche l’ultima stilla di sangue ha trattenuto: Prendete, mangiate; prendete, bevete. Perché il tuo Amato è fatto così: non chiede sacrifici per sé, ma sacrifica se stesso per te. Ma è anche l’unico ad essere tornato vivo dal regno dei morti, ed è tornato a noi più vivo di prima. Gesù di Nazaret è realmente e corporalmente risorto, e perciò di lui tu non solo puoi dire: “Mi ha amato con un cuore di carne e ha dato se stesso per me”, ma: “Anche oggi mi ama con cuore d’uomo e mi amerà ancora, domani e tutti i giorni, fino al mio ultimo respiro”. Non dubitarne mai: lui non farà della tua vita una fine, ma il passaggio per una vita senza fine: In my end is my beginning (Th. S. Eliot).
2. Quel giorno fatale, il tuo giorno più lungo prima di questo di oggi davvero indimenticabile, tu hai aperto il guscio della tua piccola conchiglia e vi ha visto dentro brillare la perla preziosa: la perla del segreto della vita. Il segreto è l’amore di Gesù. Ti sei sentita amata, gratuitamente e teneramente amata dal tuo Amato; hai creduto al suo amore; ti sei buttata tra le sue braccia in uno slancio vertiginoso e gli hai sussurrato tra lacrime di gioia: “Prima di conoscere te, io non esistevo”. E cosi hai sperimentato quanto siano vere anche per te quelle sue parole che non passeranno mai, anche quando il cielo e la terra passeranno: “Serena, io sono venuto perché tu abbia la vita e l’abbia in pienezza” (cfr Gv 10,10). Deve essere stato proprio così: lui ha pronunciato il tuo nome e tu hai provato a pelle il brivido dell’innamoramento. Di schianto hai realizzato che la tua vita non si sarebbe più impantanata nella palude della noia, non si sarebbe più persa tra le sabbie mobili di una specie di anoressia esistenziale, non sarebbe più discesa ineluttabilmente verso il baratro del nulla. Anzi hai visto la tua vita risalire la china e “scorrere verso l’alto” (Giovanni Paolo II). Perché la vera vecchiaia è l’egoismo; la sclerosi più grave è l’indurimento del cuore; la paresi totalmente irrecuperabile è il congelamento dell’anima.
Quel giorno fortunato tu, suor Serena carissima, hai mosso i primi passi sul sentiero ripido della conversione. Domanda: ma come ci si converte? Risposta: la conversione è tutta questione di cuore. Dunque ci si converte come ci si innamora. E quando una ragazza come te si innamora di uno Sposo di sangue come Gesù, allora davanti a sé non si ha più il miraggio della nostra piccola poltrona, del nostro nido caldo dorato, mentre fuori di noi geme il pianto dei depressi e urla il dolore dei disperati. Così hai finito per innamorarti dei poveri, gli amici dello Sposo, i suoi prediletti. E amando loro, hai messo la tua fragile spalla sotto la loro croce, ma a quel punto hai trovato il tesoro, il favoloso tesoro della gioia. Allora hai dato via tutto, hai scommesso sull’amore del tuo Gesù, e invaghita di lui, hai scoperto che croce non è uguale a meno vita, meno amore, meno felicità. Hai invece indovinato la formula magica dell’appagamento: “più Dio è uguale a più Io”.
Così la pianticella della tua giovane vita ha cominciato a fiorire. A proposito mi torna qui alla mente quanto scriveva Dietrich Bonhoeffer, nel carcere di Tegel, prima di venire impiccato dai nazisti. Scriveva: “Non ci interessa una vita che non faccia fiorire l’umano. Un divino cui non corrisponda il rigoglio dell’umano, non merita che ad esso ci dedichiamo”.
Mi hai anche scritto: “In questi tre anni a Villa Verucchio, l’immersione nel quotidiano di tante famiglie e di tanti ragazzi ha realizzato il dono di Dio nella mia vita: il desiderio di spendermi per gli altri per condividere con ciascuno la ricchezza che ho conosciuto e sperimentato. La chiamata di Dio è per stare con lui e per andare verso i fratelli, e se questa passione è davvero dono suo, sono certa che ne permetterà la realizzazione”.
Queste parole raccontano il tuo sogno, ma dicono pure la nostra preghiera. Sogno e preghiera nutrite dalla grande, indefettibile promessa: “Nulla mai potrà separarci dall’amore di Cristo”, ha scritto s. Paolo, ma questa è la verità di Dio sulla tua vita. Nulla – mai: due parole minuscole, ma firmate dal tuo Sposo a caratteri di sangue e che a noi, cara suor Serena, ci fanno fare salti di gioia. Beata te che hai creduto! Fortunata te che ti sei lasciata sedurre dal Volto del più bello tra i figli dell’uomo e non hai più potuto fare a meno di seguirlo. Lascia che ti diciamo anche noi: nulla mai ti potrà separare dal Suo amore. Aiutaci ad augurarti: nulla mai guasti la tua festa! E sarà festa anche per tutti noi.
+ Francesco Lambiasi