Omelia del Vescovo nella Messa per il giorno di Pasqua
Rimini, Basilica Cattedrale, 24 aprile 2011
La Pasqua è un mistero inesauribile. Nel giorno in cui celebriamo il Cristo risorto e vivente, tentiamo di cogliere al volo almeno qualche scintilla del grande fuoco acceso nella storia con la risurrezione di Cristo. Spero possa tornare utile allo scopo evidenziare una tra le parole più fedeli all’evento e più vicine alla nostra sensibilità.
E’ la parola liberazione, che traduce la classica categoria biblico-teologica di ‘redenzione’ e significa liberazione a prezzo di riscatto. Nessuno più di san Paolo ne ha formulato il messaggio con un ‘manifesto’ tutto nervi e vita: “Cristo ci ha liberati per la libertà! State dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù. (…) Voi, fratelli, siete stati chiamati a libertà” (Gal 5,1.13).
1. Libertà è capacità di futuro
Cominciamo con il rintracciare in noi stessi la spinta segreta che muove tutta la nostra esistenza. Noi non viviamo di solo pane o di sola aria; non viviamo di cose, ma di futuro. L’uomo è indubbiamente anche un essere biologico, bisognoso di tutti quei mezzi e di quei beni che sostengono la sua vita fisica; ma si differenzia da tutti gli altri esseri perché può guardare in avanti, può aprirsi a qualcosa di nuovo. Anche i cani, i gatti e i cavalli hanno un ieri e un domani; ma il loro domani non porta nulla di veramente nuovo: è la ripetizione immodificabile di ciò che è stato ieri, di ciò che è oggi e di ciò che inesorabilmente sarà domani e dopodomani. L’uomo invece può pro-gettare e pro-gettar-si, può porre sé davanti a se stesso e camminare verso il futuro di sé: combinare qualcosa di bello nella vita, realizzare qualcosa di buono e di utile per le persone che amiamo. Questa capacità di futuro si chiama libertà: la persona umana non è ripetizione fatale e inevitabile di ciò che è sempre successo, ma piena apertura a ciò che non è ancora accaduto.
Pensiamo allo smarrimento che ci coglie, quando la strada verso il futuro ci appare sbarrata da un incidente, da un insuccesso o una malattia; quando ci attraversa la mente, come un lampo improvviso, il pensiero della morte, che ci fa dire: ma allora perché impegnarmi tanto, se poi tutto deve finire? E così, o ci ripieghiamo sul passato, lo gonfiamo a dismisura, lo pitturiamo con i coloranti fantasmagorici della memoria, e lo mettiamo davanti a noi come nostro futuro. Ma allora cadiamo nell’angoscia più penosa e insopportabile, perché ci rendiamo ben conto che il passato è ‘passato’ – non si può né ripetere né prolungare – e noi non possiamo nutrire la nostra fame di futuro con flebo di nostalgia. Oppure ci rinchiudiamo nel presente, cercando di spremerne tutte le potenziali stille di benessere, di piacere o di divertimento, ma prima o poi la vita ci delude, perché ciò che abbiamo o che cerchiamo di goderci non ci basta, e si riaccende in noi l’attesa di qualcosa di nuovo, di vero, di puro, di infinito. E allora ci sentiamo salire dai labirinti del cuore il grido di Paolo: chi mai potrà liberare la nostra libertà? chi ci potrà restituire la nostra capacità di futuro? chi potrà salvare la nostra speranza?
2. Libero di fronte alla morte e sulla morte
Nel contesto in cui noi oggi viviamo il dramma della nostra libertà, possiamo collocare il messaggio liberante che scaturisce dalla Pasqua di Gesù. Gesù si è presentato sulla scena della Galilea degli anni 30 dell’era cristiana con un progetto: il regno di Dio. Ha annunciato l’evento che dà alla storia la svolta decisiva: Dio ha mandato in mezzo a noi suo Figlio, per prendersi personalmente e pienamente cura della vita di tutti noi, suoi figli. Le ansie, le sofferenze, gli interrogativi dell’uomo diventano affare suo e Dio decide di dare ad essi una risposta che va al di là di ogni attesa. Con Gesù il regno della verità, della libertà e della pace si è fatto presente. I poveri, i peccatori e i perduti possono esultare, perché proprio a loro, attraverso l’amore di Gesù, Dio offre vita e salvezza. Messaggero potente del regno di Dio, Gesù di Nazaret è passato “beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui” (1.a lettura). Si è chinato sulle miserie dell’uomo: ha risanato i lebbrosi, ha avvicinato gli emarginati, e ai peccatori, legati al proprio passato senza speranza di uscirne, ha offerto il perdono, ha aperto nuovi spazi di vita e un futuro pieno di possibilità insperate. Una così vasta e potente opera di liberazione trova ragione nel fatto che Gesù è un uomo interiormente libero. E’ libero dalla ambiziose aspettative messianiche che tutti, intorno a lui, avrebbero voluto imporgli. E’ libero di fronte ai discepoli e pronto ad andarsene anche da solo, sulla strada di un ideale nuovo e frainteso: morire per amore, come il seme che dona la vita marcendo. Gesù è libero di fronte a leggi e prescrizioni, a tabù e divieti, quando offendono l’uomo e la sua dignità. E’ libero di fronte ai ricatti e alle minacce dei suoi nemici. Ma è libero soprattutto di fronte alla madre di tutte le paure, la paura della morte, e lo è libero perché si sa e si sente totalmente amato dal Padre. E così si offre volontariamente alla morte “per ridurre all’impotenza colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che, per paura della morte, sono soggetti a schiavitù per tutta la vita” (Ebr 2,14s).
Ma se tutto fosse finito all’ora nona di quel 14 di nisan dell’anno 30, noi oggi non staremmo qui, o al massimo staremmo qui solo a commemorare un grande del passato, dalla cui vita duemila anni di storia costituirebbero un fossato incolmabile. E quindi dovremmo salvarci da soli, con le nostre attese fatalmente deluse, sempre più soli e impotenti, costretti a censire sogni falliti, a registrare desideri infranti, relazioni malate, affetti spezzati. E invece il nostro liberatore è risorto. Ecco il messaggio di Pasqua, messaggio di morte e di risurrezione. Il Crocifisso ci dice che Gesù si è posto in atteggiamento di totale libertà davanti alla morte. Il Risorto ci dice che Gesù ha ricevuto dal Padre il potere e la libertà sulla morte: nell’Apocalisse si mostra come “il Vivente, già morto, ma che ora vive per sempre e ha le chiavi della morte e degli inferi” (cfr Ap 1,18). La risurrezione non cancella la passione e la croce di Cristo: il Risorto si mostra ai suoi, nel cenacolo, con le piaghe gloriose. La gloria della risurrezione non elimina le stigmate della passione, ma le ‘glorifica’, ossia le perpetua, rendendole presenti e attuali per sempre. Anche in cielo l’Agnello appare “in piedi, come immolato” (Ap 5,6). Tutto questo sta a dire che Cristo, se è risorto è vivo, e se è vivo è nostro contemporaneo, e quindi entra in relazione con noi, c’entra con me, e può liberarci se noi vogliamo.
La risurrezione di Cristo – ha ricordato papa Benedetto – “non è affatto un semplice ritorno alla nostra vita terrena; è invece la più grande ‘mutazione’ mai accaduta, il ‘salto’ decisivo verso una dimensione di vita profondamente nuova, l’ingresso in un ordine decisamente diverso, che riguarda anzitutto Gesù di Nazaret, ma con lui anche noi, tutta la famiglia umana, la storia e l’intero universo” (al convegno di Verona, 2006). La risurrezione è una parola che il Signore rivolge a ciascuno di noi, dicendoci: “Sono risorto e ora sono sempre con te (…). La mia mano ti sorregge. Ovunque tu possa cadere, cadrai nelle mie mani, Sono presente perfino alla porta della morte. Dove nessuno può accompagnarti e dove tu non puoi portare niente, là io ti aspetto e trasformo per te le tenebre in luce” (veglia pasquale, 2007).
Con Cristo o senza Cristo cambia tutto. L’incontro con il Risorto ci fa risorgere e ci rende capaci di un futuro nuovo, pienamente umano. Che questa liturgia non rimanga rito, ma diventi vita. La Pasqua per noi è tutto. Non solo noi dalla Pasqua siamo salvati, ma tutto ci viene dalla Pasqua: lo Spirito, la Parola, i sacramenti, la Chiesa, l’amore, la vita nuova. La Pasqua è Cristo che viene a vivere in noi. Noi allora lo imploriamo: Maranà tha! Vieni, Signore Gesù! Vieni e resta con noi, perché si fa sera. Resta con noi fino all’ultima sera del nostro cammino “sullo stretto marciapiede della terra”, quando cadrà l’ultimo sole sul nostro orizzonte, e la nostra vita sfocerà con te nella casa del Padre, che “solo amore e luce ha per confine”.
+ Francesco Lambiasi