Omelia tenuta dal Vescovo nel corso della Messa Crismale
Rimini, Basilica Cattedrale, 20 aprile 2011 –
Ancora una volta l’avvenimento si è compiuto. Le parole di Gesù hanno riempito gli alti silenzi della nostra cattedrale: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato…”. E’ la dichiarazione ufficiale di Gesù nella sua prima uscita pubblica. Sono parole solenni che rotolano dalla sinagoga di Nazaret, trascinandosi dentro l’eco lontana dell’oracolo di Isaia; parole che navigano i tempi della storia e approdano, qui, oggi, fino a varcare la soglia del nostro duomo, luminoso e avvolgente come nelle grandi occasioni. Al termine del vangelo il diacono ha proclamato: “Parola del Signore!”. E noi in coro abbiamo acclamato: “Lode a te, o Cristo!”. Ora, come quelli dei compaesani, anche gli occhi di tutti noi sono fissi su Gesù e disegnano cerchi fitti di sguardi attorno a lui, il consacrato-mandato a portare ai poveri il lieto annuncio. La scena, ‘filmata’ da Luca quasi alla moviola, ci viene trasmessa ‘in diretta’, ci si ristampa nel cuore e lascia incisa una inconfutabile certezza: qui, oggi si compie questa Scrittura, che noi abbiamo udito con i nostri orecchi.
1. Più amore per la Scrittura
La liturgia crismale di questo anno si colloca a qualche mese di distanza dalla pubblicazione dell’esortazione post-sinodale Verbum Domini (VD), e ci aiuta a declinare quei verbi programmatici, che spiccano nell’autopresentazione di Gesù, appena ascoltata: evangelizzare, proclamare, annunciare. Partecipare al sacerdozio di Cristo come battezzati significa partecipare al suo servizio profetico di diffusione del Vangelo. E parteciparvi come ministri ordinati – vescovo, presbiteri, diaconi – significa ribadire che noi siamo anzitutto (primum!) ministri della Parola di Dio (cfr PO 4; PdV 26; VD 79-81.84).
Nell’introduzione il Papa si augura “una riscoperta, nella vita della Chiesa, della divina Parola”. Non è un po’ strano questo augurio, dopo duemila anni di Bibbia? Il motivo è dato da una parte dalla convinzione, espressa dal patrono degli esegeti, san Girolamo, con la celebre frase: “L’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo” (cfr VD 29). Dall’altra, da una situazione di inerzia, suffragata da dati preoccupanti: in Italia solo il 3% dei praticanti legge la Bibbia con una certa frequenza. C’è da domandarsi se per tanti cristiani non sia ancora fondata l’amara battuta di Paul Claudel: “Il rispetto dei cattolici per la sacra Scrittura è senza limiti, ma si manifesta soprattutto con lo starne… a debita distanza!”. L’ascolto delle Scritture – dalla liturgia alla predicazione, dalla teologia alla catechesi – ha ripreso dovunque slancio e vigore. Ma il cammino è tutt’altro che concluso, e l’ignoranza delle Scritture è ancora molto diffusa. Occorre per altro riconoscere onestamente che nei confronti della valorizzazione e della diffusione della sacra Bibbia si registrano qua e là vari timori, che meritano indubbiamente rispetto, ma non possono diventare altrettanti alibi per trascurare e svalutare la sacra Scrittura.
Il primo è il timore che una formazione prevalentemente biblica resti frammentaria, incompleta e persino imprecisa. Meglio perciò – si arriva troppo sbrigativamente a concludere – seguire un itinerario dottrinalmente più sistematico, con formule chiare e distinte. Certo, per la formazione cristiana la lettura delle Scritture non basta. Occorre anche l’organicità e la completezza di un itinerario che comprenda tutta l’ampiezza della Tradizione cristiana e della riflessione teologica che l’ha sempre accompagnata. E’ un compito necessario e urgente. Tuttavia, di questo itinerario, la Scrittura deve essere “l’anima” (VD 31), e in particolare, per quanto riguarda la catechesi, il Papa afferma che essa è “un momento importante dell’animazione pastorale della Chiesa in cui poter sapientemente riscoprire la centralità della Parola di Dio” (VD 74).
La seconda preoccupazione è di chi teme che un marcato riferimento alla Scrittura finisca per relegare l’autorità della Tradizione e del Magistero in secondo piano, favorisca la concezione protestante della sola Scriptura e “assoggetti la Scrittura a privata spiegazione” (cfr 2Pt 1,20). Indubbiamente la Parola di Dio è più ampia della Scrittura. ‘Parola di Dio’ non significa “una parola scritta e muta, ma il Verbo incarnato e vivente” (san Bernardo), è la Parola divenuta carne, fatta avvenimento, e l’avvenimento è sempre più ricco della sua registrazione scritta. Il cristianesimo non è una religione del Libro, e la Chiesa trasmette ben altro che semplici copie della Bibbia! Del resto anche gli analfabeti possono essere pienamente cristiani. Il cristianesimo è la storia della salvezza, e “al centro della rivelazione divina c’è l’evento di Cristo” (VD 7). Quindi non la Scrittura in quanto tale è per noi Parola di Dio, ma la Scrittura in quanto capace di ridiventare parola viva e attiva, annunciata e ascoltata, vivace e vissuta. Tuttavia “le sacre Scritture contengono la parola di Dio e, poiché ispirate, sono veramente parola di Dio” (Dei Verbum 24). “Pertanto la Scrittura va proclamata, ascoltata, letta, accolta e vissuta come Parola di Dio, nel solco della Tradizione apostolica dalla quale è inseparabile” (VD 7; cfr DV 10).
La terza ragione di timore è legata alla precedente, e si potrebbe formulare così: se il cristianesimo non è anzitutto dottrina ma storia, e se non è tanto religione quanto rivelazione, allora non è forse nell’esperienza concreta e vitale della Chiesa che si incontra Cristo, e non per prima cosa nella Scrittura? Certamente il riferimento centrale del cristiano cattolico è la Chiesa, la sua fede, la sua vita inesauribile, la sua divina autorità. Ma proprio perché la rivelazione rimanesse “integra” e “viva” in ogni tempo, Dio ha fatto dono alla sua Chiesa delle Scritture e della successione apostolica. Né la sola Scrittura, dunque, né il solo Magistero, ma l’una e l’altro in una vivente, inscindibile unità, ricordando che la Chiesa è sotto la Parola di Dio e a suo servizio, per interpretare la Scrittura, non per sostituirla: questa è la fede cristiana e cattolica.
2. Insostituibilità e relatività della Scrittura
A questo punto non resta che tornare a leggere con cuore aperto le limpide ed equilibrate affermazioni della Verbum Domini che affermano insieme la insostituibilità della Scrittura e la sua relatività. Sono principalmente tre, ma preferisco ricavarle di peso dal testo conciliare della Dei Verbum, per mostrare così la fedele continuità del sinodo dei vescovi non solo con lo spirito ma perfino con la lettera del Vaticano II.
Prima proposizione: “La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto con il corpo stesso di Cristo” (DV 21). “Alla Parola di Dio e al mistero eucaristico la Chiesa ha tributato e sempre e dappertutto ha voluto e stabilito che si tributasse la stessa venerazione, anche se non lo stesso culto” (VD 55). Come si vede, vengono poste in parallelo la mensa della parola e quella del sacramento – come già aveva fatto la Sacrosanctum Concilium – anzi la Dei Verbum parla di una unica mensa con i due pani – la Parola e l’Eucaristia – per sottolinearne l’indissolubile unità (cfr DV 21). Pertanto viene esplicitamente affermata l’indispensabilità della Scrittura, ma anche la sua relatività, ossia il suo ineliminabile riferimento e la sua imprescindibile relazione al grande sacramento. In sintesi la funzione della Scrittura è insostituibile, ma non isolabile, e soltanto all’interno di una economia in cui giocano organicamente altri fattori trova la possibilità di svolgere il suo ruolo di rivelazione e di salvezza.
La seconda proposizione riguarda il rapporto tra Scrittura e Tradizione: “Insieme con la sacra Tradizione, la Chiesa ha sempre considerato e considera le divine Scritture come la regola suprema della fede” (DV 21). Perciò occorre “accostarsi alle sacre Scritture in relazione alla viva Tradizione della Chiesa, riconoscendo in esse la Parola stessa di Dio” (VD 18). Con una metafora possiamo affermare: se l’evento è il roveto sempre ardente della Pentecoste, la Scrittura non è la pietrificazione di una Parola che, invece, è e resta accesa e incandescente, e la Tradizione non è raccogliere le ceneri di quel fuoco, ma trasmetterne la fiamma. Non si può opporre Scrittura e Magistero, poiché “il Magistero non è superiore alla Parola di Dio, ma ad essa serve (…) in quanto piamente ascolta, santamente custodisce e fedelmente espone quella Parola” (DV 10).
La terza proposizione attiene all’aspetto dinamico della Parola di Dio: “Nella Parola di Dio è insita tanta efficacia e potenza da essere sostegno e vigore della Chiesa” (DV 21). La Verbum Domini ne parla in più punti e la descrive come “sorgente di costante rinnovamento”, “cuore di ogni attività ecclesiale” (n. 2), anima della nuova evangelizzazione (n. 122), comunicazione inesauribile di gioia (n. 123). E’ importante sottolineare il dinamismo della Parola di Dio: la sacra Scrittura non è solo ispirata, ma ispirante – insieme alla sacra Tradizione “comunica la voce dello Spirito Santo” (DV 21) Non è solo un bene ‘passivo’ da difendere, custodire e spiegare, ma una forza ‘attiva’ che sostenta e mantiene in vita la comunità cristiana. Non è solo un tesoro affidato alla Chiesa, ma un pane che nutre e una energia dinamica che anima e costruisce la Chiesa.
Ora dovrei accennare ai compiti che la VD ci richiama nei confronti della Parola di Dio, ma preferisco rinviare direttamente al testo, ai nn. 79-81. Come pure sarebbe opportuno monitorare la nostra situazione diocesana riguardo all’amore e alla valorizzazione della Parola di Dio, per rallegrarci di quanto di buono già si fa e riconoscere il molto che possiamo e dobbiamo ancora fare, ma il tempo non ce lo consente. Mi limito pertanto a riportare due citazioni, una che ci coinvolge tutti come battezzati, e l’altra che riguarda più direttamente il vescovo, i presbiteri e i diaconi.
La prima la prendo in prestito da s. Francesco, il quale sulla fine della sua giovane vita scriveva:
“Ammonisco tutti i miei frati e in Cristo li conforto, perché ovunque troveranno le divine parole scritte, come possono, le venerino e, per quanto spetti ad essi, se non sono ben custodite o giacciono sconvenientemente, disperse in qualche luogo, le raccolgano e le custodiscano onorando nella sua parola il Signore che ha parlato”.
Un romanziere, George Bernanos, metteva queste parole sulla bocca di un prete anziano che si rivolge al giovane curato di campagna:
“La parola di Dio è un ferro arroventato, e tu che devi insegnare agli altri, vorresti prenderla con le molle per paura che ti bruci?.Tu non la prenderai invece a piene mani? Io voglio che, quando il Signore in qualche occasione tira fuori dal mio cuore una parola utile per le anime, voglio sentirla per il male che dentro mi fa”
Fratelli carissimi, mentre state per rimettere idealmente le vostre mani nelle mani del vescovo, come il giorno dell’ordinazione – volendo dire con quel gesto la scelta crocifiggente e beatificante di riconsegnare la vostra vita a Cristo e alla sua Chiesa – permettetemi di ringraziarvi per quanto non vi stancate di fare per servire la Parola e per servire alla Parola di Dio. Preghiamo il Signore Gesù, la Parola fatta carne, che ci dia la grazia di sostare ogni giorno con amore anche su un solo versetto della Scrittura. Preghiamolo che ogni giorno ci dica anche soltanto una parola e saremo salvati, e non riusciremo a mollare la sorpresa di essere ancora instancabilmente scelti, amati e benedetti. E pregate per me, perché il buon Pastore mi faccia la grazia di scomparire ogni giorno di più in lui. Infine preghiamo santa Maria “nel cui ventre si raccese l’amore” (Dante) e la divina Parola si fece carne, perché anche nella nostra diocesi “fiorisca una nuova stagione di più grande amore per la sacra Scrittura da parte di tutti i membri del popolo di Dio” (VD 72).
+ Francesco Lambiasi