Omelia pronunciata nel 40° anniversario della santa morte della Ven Carla Ronci Rimini, Rimini, Basilica Cattedrale, 11 aprile 2010
La Pasqua è una festa senza fine. E’ il giorno senza tramonto. Non esiste, liturgicamente parlando, un tempo dopo Pasqua; esiste solo il tempo di Pasqua. La Chiesa vive nel clima spirituale del Cristo risorto. Il vincitore della morte mantiene la parola: si presenta ai suoi con i tre grandi “regali di Pasqua”: lo Spirito Santo innanzitutto, e con lui fa dono ai suoi della pace e della missione: “Ricevete lo Spirito Santo”. I discepoli si arrendono, disarmati e stupefatti, alle piaghe aperte del Crocifisso glorioso, e gioiscono “al vedere il Signore”. E accolgono, perdonati e disponibili, il suo mandato: “Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi”.
1. Consacrazione e missione. Non solo dell’attività pubblica di Gesù, ma anche della sua Pasqua, esiste una sorta di “Quinto Vangelo”, scritto dalla vita dei testimoni della fede, quali sono i santi. Anche la venerabile Carla Ronci fa parte della schiera interminabile di questi testimoni. Ed ecco come nella sua vita lo Spirito Santo ha riscritto il primo messaggio di questa seconda domenica di Pasqua: la fede: “Mio Signore e mio Dio” e la missione: “Anch’io mando voi”
Stella polare per il cammino di un cristiano è la coscienza dell’amore inesauribile e misericordioso di Dio Padre. Tutta la vicenda spirituale di Carla è il tentativo appassionato di accogliere questo amore che si è manifestato in Gesù, il Figlio di Dio. La fede di essere oggetto dell’amore di Dio deriva da un profondo scavo interiore, nella ricerca dei fondamenti della esperienza umana. Dalla sua fede, radicata nel mistero trinitario, sgorga una salda spiritualità eucaristica che si alimenta attraverso una intensa vita sacramentale e liturgica. La vita sacramentale è la fonte a cui attinge forza e gioia. Innestata in Cristo mediante il battesimo e la cresima, fortificata quotidianamente dall’eucaristia, sente l’ansia per tutta la popolazione della parrocchia di Torre Pedrera. Ad essa si dedica, impegnandosi nell’Azione Cattolica, di cui esprime in modo chiaro e fedele nel tempo, la ministerialità laicale: lavorare per il bene di tutti, annunciando con la vita e le parole il Vangelo, in comunione con il proprio parroco, assumendosi il compito di collaborare alla vita pastorale della parrocchia. Il suo impegno apostolico è pieno di creatività, vissuto nella ferialità della vita parrocchiale, ma con grande tensione missionaria.
Nel Diario dell’anno 1963, una sola annotazione al 6 gennaio: “Dopo alcuni giorni di esercizi spirituali, questa mattina ho fatto la mia professione religiosa. Ora sono sposa di Gesù! Non so descrivere ciò che ho provato nel recitare la formula che mi consacra a Dio. So solo che sono immensamente felice…”. Quando Carla dice di voler essere “sposa” di Gesù, intende esprimere la sua consacrazione verginale nella radicalità di una scelta assolutamente prioritaria. Non c’è nulla che valga nella sua vita all’infuori di Gesù. E’ Lui che dà senso alla sua vita e a tutte le cose. La sua scelta verginale le fa “sentire” Cristo come senso totale dell’esistenza; di qui la ragione del linguaggio tenero e confidente a cui ricorre. Con la sua professione religiosa, Carla vive la sponsalità della Chiesa e rende testimonianza della sua ineffabile comunione con Cristo.
“Quando si ama lo Sposo si pensa come Lui, si ama come Lui, si agisce come Lui e si desidera solo ciò che piace a Lui”. “Signore, voglio che ogni anelito della mia vita Ti appartenga, ogni mio passo, ogni movimento, ogni battito del cuore, ogni mio pensiero. Signore, voglio essere tua nel tempo, perché voglio essere tua nell’eternità”. “Dopo meditazione sono stata per soli cinque minuti zitta, ascoltando Gesù. Egli mi ha parlato e mi ha detto: ’Carla ti voglio tutta per me, tutta capisci?’”. “Gesù mi ha chiesto il cuore ed io, Gesù, Ti ho risposto di non desiderare altro. Sì, questo desiderio io lo sento tanto forte in me che è un continuo tormento.” “Come è bello amare il Signore!”.
E’ ben cosciente delle conseguenze della sua consacrazione, vede già in prospettiva dove la porterà l’intima unione con Cristo. “Ora sono sposa di Gesù… so di essere sposa di un Dio crocifisso e nulla mi spaventa né sorprende. Lui è sulla Croce, ed io, sua sposa, dove pretendo di stare? – Con Lui certamente. E allora? – Tutto il patire e il gioire con Lui e per Lui”.
2. La vita per i sacerdoti. Abbiamo ascoltato il Signore risorto: “Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi”. In questo anno sacerdotale non possiamo non ritornare sulla dedizione della Venerabile alla santificazione dei sacerdoti. La dignità del ministero sacerdotale è più volte sottolineata nei suoi scritti. In una lettera al suo direttore spirituale, scriveva: “Per me il sacerdote è un uomo senza un cuore suo perché ha soltanto le sofferenze e le angosce degli uomini, suoi fratelli, e nel suo batte il cuore di Cristo. Sì, mi sono offerta tutta per per i sacerdoti… come Gesù per i suoi apostoli… come il sacerdote si offre per tutti”. Nella medesima lettera afferma: “Nel sacerdote trovo soprattutto Gesù. Ed offrirsi per Gesù le pare poco?”. Queste sono le parole che non esaltano la figura umana del sacerdote, il quale potrebbe anche non vivere in modo edificante la propria missione, ma richiamano i fondamenti oggettivi, sacramentali, del ministero sacerdotale. Il prete amministra verità, fortezza, grazia, perché è legato a Cristo, Pastore e Capo del suo popolo.
“Il sacerdote deve essere come lo vuole Gesù. Sì, padre, voglio che sia sempre così: sacerdote come lo vuole Gesù… tutto luce, tutto amore per le anime… Si, sia sempre così, sia sempre così”. Voleva che ogni sacerdote fosse santo perché dal volto trasparisse il volto di Gesù. “Nel sacerdote vorrei vedere il volto di Gesù; se sofferente, tanto meglio”.
Pregava e faceva pregare spesso le sue beniamine o le ragazze che frequentavano il suo laboratorio di cucito per i sacerdoti e se sapeva di qualche prete in crisi, correva dalle suore per coinvolgerle nella preghiera e nel sacrificio.
Dall’ospedale di Bologna, quando, ormai minata dal male, sente la morte vicina, scrive ad un padre passionista: “Non è né castigo, né un dolore quello che soffro, ma un premio. Dio, forse, ha accettato la mia offerta. Sì, mi sono offerta tutta…. per il sacerdote… Mi aiuti lei, padre, a far giungere il mio grido al Signore, perché gradisca ed accetti questa offerta. Eccomi, Signore: non sono che una piccola betulla battuta dal vento; una fioca lucciolina che vaga nelle stellari notti agostane; più piccola di una lacrima; appena il gemito di un neonato. Signore, ho solo questo mio cuore che è pieno di Te che sei l’infinito. Questo Ti offro per i tuoi sacerdoti. EccoTi tutta la mia vita. Se vuoi una vittima di riparazione per le loro cadute, per le loro infedeltà, per quello che non fanno e che dovrebbero fare, per quello che fanno e che non dovrebbero fare, Signore, per essi mi offro vittima, disposta a tutto, a tutto, a tutto, ma che non ci manchi il tuo sacramento, perché il sacerdote è un sacramento di Te, un portatore di Te, Signore che sia puro ed illibato il sacramento che è il prete, così come Tu lo hai voluto”.
3. La gioia viene solo da Dio. In questo tempo di Pasqua la comunità cristiana canta la gioia della fede nella risurrezione del suo Signore con una parola, alquanto mortificata dall’abitudine, ma agile e invitante a un canto gioiosa: alleluia!. Dalla coscienza della presenza del Signore nasce la gioia, piena e contagiosa, che si comunica agli altri. “Tutta la gioia e la serenità che posso avere mi viene da Dio. Gli uomini non potranno mai saziare l’ansia che è in me: solo Dio lo può… Il paradiso è di Dio; se Dio è in me, io sono il paradiso di Dio… Il gaudio è un dono vero e proprio dello Spirito Santo che si riversa nell’anima pura che lo accoglie con tutti i suoi doni… Anch’io, anima consacrata, ho ricevuto uno sguardo d’amore da parte di Dio, che gioia!… Il mio “sì”, sia sempre gioioso; è il meno che io possa fare per ricambiare l’amore di Dio”. “Il pensiero che maggiormente mi ha toccato è questo: Dio è in me. Io sono un tabernacolo vivente. Non mi deve quindi essere difficile vivere in unione con Dio. Ciò significa vivere la vita interiore. Dio gradisce di trovare in me unicamente quello che è suo e cioè tutto ciò che è divino. E’ allora che Gesù agisce indisturbato… Se lascerò operare Gesù in me, sarà lui a pregare, a parlare, a consigliare, ad amare per me…”.
Chi vive nello Spirito incontra gioia e perfetta letizia sul suo cammino: gioia nel vivere, gioia nell’amare, gioia nella purezza, gioia nel lavoro, gioia nel servizio, gioia nel sacrificio. Quanto più l’uomo diventa presente a Dio e si distacca dal peccato, tanto più entra nella gioia spirituale. Carla possiede questa completa e profonda gioia e la diffonde nel cuore dei fratelli. La gioia dà al suo cuore un’apertura sul mondo e la porta ad una comunione sempre più universale. “L’anima in grazia di Dio vive nella gioia, perché tutto le serve per donarsi, per amare, per riparare, per ringraziare…”.
Solo un pensiero potrebbe far seccare la sorgente di questa gioia intima e profonda: “Sono felice e questa felicità potrebbe togliermela soltanto la certezza che Dio non fosse più misericordioso: il solo pensiero che Dio è amore e misericordia mi procura tanta gioia e fiducia”. E ancora: “Sono felice di essere”; “La vita è bella”; “Sono felice fin troppo”; “La vita è meravigliosa”; “Vivo nella gioia”.
Oggi abbiamo bisogno di cristiani dalla fede adulta e matura. La fede è tale quando è capace di generare pace e gioia. Quando smette di restare affare privato della coscienza individuale per diventare testimonianza, notizia franca e coraggiosa della vita. Quando esce dalla sacrestia per entrare in tutti gli ambiti della vita. I cristiani veri ricevono il “testimone” della fede e lo passano. Così è stata Carla Ronci. Che anche la nostra testimonianza così sia.
+ Francesco Lambiasi