Nel terzo anniversario della morte di don Giussani
Consentitemi, carissimi fratelli, sorelle e amici di Comunione e Liberazione, di introdurre la riflessione che vengo a proporvi con una osservazione che – me ne rendo ben conto – potrebbe causare di primo acchito un’impressione fastidiosa di ricercatezza, se non addirittura di pedante leziosità, ma che invece vorrebbe semplicemente stuzzicare quella curiosità acuta e appassionata che non deve mai difettare quando ci dedichiamo a riflettere su un brano di vangelo conosciuto quasi a memoria, come quello appena proclamato. Voi sapete che da qualche mese abbiamo la possibilità, nella liturgia della Parola, di avvalerci della nuovissima traduzione della CEI, approvata da noi vescovi italiani qualche anno fa, per averla voluta e averla trovata più aderente all’originale greco di quella precedente, cosiddetta di Gerusalemme. Se ora mettiamo in parallelo le due traduzioni dell’odierna sequenza evangelica, troveremo che l’unica differenza è costituita da una sola paroletta, un semplicissimo ma. Mentre nella Bibbia di Gerusalemme, Gesù, rivolgendosi ai discepoli avrebbe domandato: “Voi chi dite che io sia?”, nel nuovo Lezionario il testo greco soggiacente è reso in modo senz’altro più fedele: “Ma voi chi dite che io sia?”. La differenza, per quanto minuta, ritengo non possa essere tranquillamente minimizzata.
1. In effetti quel giorno Gesù, giunto nella regione di Cesarea di Filippo, all’estremo nord della Galilea, condusse il più celebre sondaggio di opinioni di tutti i tempi. In prima battuta pose una domanda pressante e stringente ai suoi discepoli: “La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo?”. E’ ovvio: il Maestro non è affatto in vena di misurare il livello della sua audience; vuole piuttosto verificare quanto i discepoli hanno colto della sua autentica, misteriosa identità. In effetti i Dodici ne hanno sentite di tutti i colori sul loro Maestro, un rabbi tanto popolare e altrettanto chiacchierato. Un personaggio alla ribalta, un “vip” diremmo oggi, ma sempre ricondotto, dall’opinione pubblica, dentro schemi comuni, legati al passato: al massimo un profeta redivivo.
Poi, lo scatto a bruciapelo, con quella domanda fulminante, un contropiede sbalorditivo che spiazza tutti: “Ma voi chi dite che io sia?”. Con quel ma Gesù stacca decisamente i suoi dalla massa perennemente fluttuante, come a dire: Ma voi non la penserete mica come la gente? Il Maestro provoca i suoi ad una risposta che dovrà essere un “ma” rispetto a quella della gente, come i pensieri di Dio e le sue vie sono un “ma” netto e non negoziabile rispetto ai pensieri e alle vie dell’uomo (cfr Is 55,8). Insomma Gesù si aspetta dai suoi una risposta alta ed altra rispetto a quelle, tutto sommato, dette e ridette nella babele dell’opinione pubblica. In effetti la risposta di Pietro va in controtendenza, un vero salto mortale nel mistero: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. Simone-roccia non coglie solo la straordinarietà di Gesù: capta la sua irriducibile unicità, non certo per forza di carne e sangue ma per una gratuita, improvvisa, imprevedibile illuminazione “dall’alto”.
2. Si innesta a questo punto la commemorazione del “santo viaggio di Don Giussani. In una lezione del 1994 l’indimenticabile Don Gius diceva:
“Immaginiamoci l’umanità come una grande piazza dove tutti si arrabattano a costruire delle specie di scale per andare su, a vedere cosa c’è al fondo delle cose e alla loro origine -, immaginiamo che, improvvisamente, avvenisse una cosa straordinaria, un uomo che in mezzo a tutta la gente, osa dire: ‘Io sono la via, la verità, la vita’. Un avvenimento imprevedibile, non deducibile dai fattori antecedenti. (…) Se avvenisse un uomo così? E’ avvenuto. (…) Ecco, chissà come faceva: era eccezionale! Badate che il nostro cuore, fatto per l’infinito, ha bisogno dell’eccezionale per poter respirare, per poter resistere, per poter vivere veramente, ha bisogno dell’eccezionale. (…) ma era così straordinaria l’eccezionalità di quell’uomo, che tutto quel che sapevano si consumava, non rispondeva: era veramente misterioso, era un mistero”.
La vita di don Giussani è stata una risposta d’amore alla domanda del Signore: “Ma voi chi dite che io sia?”. E’ stata una risposta di fede, secondo la definizione che egli stesso aveva più volte dato della fede: “è il riconoscimento di una presenza eccezionale che c’entra col nostro destino”. Nel giorno del suo funerale l’allora card. Ratzinger affermava:
“Solo Cristo dà senso a tutto nella nostra vita; sempre don Giussani ha tenuto fisso lo sguardo della sua vita e del suo cuore verso Cristo. Ha capito in questo modo che il cristianesimo non è un sistema intellettuale, un pacchetto di dogmi, un moralismo, ma che il cristianesimo è un incontro, una storia di amore, un avvenimento”.
3. Da una vita interamente e lietamente donata a Cristo è fiorita la pianta di Comunione e Liberazione, ormai albero grande, rigoglioso e fecondo di frutti. Anch’io, come vi disse il mio predecessore il 20 febbraio 2004, in occasione del cinquantesimo di CL, in questa stessa cattedrale, vi dico: “Desidero ringraziare con voi il Signore per il dono della vostra esperienza e per il contributo che ha dato e dà alla vita e alla missione della Chiesa”.
Anch’io sottoscrivo quanto lo stesso Mons. De Nicolò vi disse un anno dopo, qualche giorno prima della morte del vostro fondatore:
“Il contenuto fondamentale del vostro impegno è innanzitutto vivere la fede come il riconoscimento della presenza di Dio nella comunione di coloro che si sentono afferrati da Cristo. Appartenere alla Fraternità di CL non è quindi riducibile ad un fenomeno meramente associazionistico, ma è la coscienza cristiana vissuta in una consapevolezza comunionale della propria vita e di ciò che si è”.
Carissime sorelle, carissimi fratelli e amici, sono grato al Signore per questo incontro con voi nella celebrazione della santa eucaristia, e lo ringrazio con gioia per la vostra presenza nella nostra Chiesa riminese. Permettetemi ora di concludere riproponendovi il caldo invito espressovi dal compianto Giovanni Paolo II, di santa memoria, nel messaggio a Mons. Giussani nell’occasione del cinquantesimo di CL:
“Rinnovate continuamente la scoperta del carisma che vi ha affascinati… Con la profonda devozione verso il Successore di Pietro e i legittimi Pastori della Chiesa ed in stretta unione con gli altri movimenti e associazioni, offrite all’interno delle comunità diocesane e parrocchiali l’apporto originale del vostro carisma, diffondendo e testimoniando il messaggio evangelico”.
Preghiamo il Signore perché non faccia mancare alla nostra Chiesa-coro la voce chiara, forte e inconfondibile della vostra presenza! E che il suo Santo Spirito non faccia mancare alla vostra voce il sostegno e l’armonia della “base musicale” di quel cantus firmus qual è il coro di tutta la nostra Chiesa diocesana.
Perciò permettetemi di ripetere con voi, con tutte le componenti e con le altre aggregazioni della nostra comunità ecclesiale, servendomi delle note espressioni di s. Agostino: “Bella e santa Chiesa di Cristo che sei in Rimini, canta e cammina!”.