Omelia – 1 Gennaio ‘08
Madre non si nasce; lo si diventa. E quando una donna lo diventa, lo diventa una volta per sempre. La maternità è tutt’altro che esperienza epidermica, stagionale e passeggera; è un evento irreversibile e permanente, che non solo segna fisicamente il corpo della donna, ma modifica il suo io profondo e la stessa coscienza che la donna ha di sé.
Ma cosa crediamo di credere quando diciamo che Maria è la Madre di Dio? cosa ha significato per Myriam di Nazaret fare l’esperienza della maternità, concependo e partorendo il Figlio unico di Dio? Potremmo rispondere a questa domanda in modo teologico, e forse la cosa guadagnerebbe in chiarezza e precisione, ma inevitabilmente perderebbe in intensità di fede e densità di comprensione. Preferisco invece proporre un itinerario che potremmo chiamare estetico: la via della bellezza mi sembra la più suggestiva e affascinante per la nostra contemplazione di santa Maria, Madre di Dio, in questo primo vespro del nuovo anno. Vorrei perciò invitarvi a fare con me un breve pellegrinaggio nella nostra diocesi, ai piedi delle immagini mariane che più ci parlano di questo grande mistero.
1. La prima tappa è il nostro santuario di Bonora: entriamo nella chiesetta con devoto raccoglimento e ci lasciamo calamitare lo sguardo da un affresco sul muro absidale, di scuola giottesca riminese, che si può far risalire alla fine del ‘300. A differenza di altre immagini analoghe che ritraggono la Madonna che allatta, quella di Bonora esprime plasticamente il protagonismo di Gesù bambino che assume l’iniziativa di prendere la mammella della mamma e nutrirsi con il suo latte. Questo simbolismo non casuale potrebbe trovare riferimento anche nel passaggio culturale che Giotto e la sua scuola hanno effettuato nella nostra città, partendo dalle raffigurazioni statiche e piene di simboli delle icone bizantine, fino ad arrivare a raffigurazioni più naturalistiche. Certo, l’anonimo pittore sapeva che il Bambino è colui per il quale e dal quale sono fatte tutte le cose, ma ora ha bisogno di prendere il latte dalla Mamma!
Nell’immagine della Madonna del latte si vuole esprimere la maternità fisica di Maria, per poter affermare la vera umanità del Figlio di Dio. Leggiamo proprio oggi nella Liturgia delle Ore un brano di S. Atanasio, che scrive:
“La Scrittura, quando parla della nascita del Cristo, dice: ‘Lo avvolse in fasce’ (Lc 2,7). Per questo fu detto beato il seno da cui prese il latte. (…) Gabriele aveva dato l’annuncio a Maria con cautela delicatezza. Però non le disse semplicemente colui che nascerà in te, perché non si pensasse a un corpo estraneo a lei, ma: da te (cfr Lc 1,35), perché si sapesse che colui che ella dava al mondo aveva origine proprio da lei” (Uff. Lett. 1 gennaio).
La reale, effettiva, corporale maternità di Maria serve, come si vede a difendere la reale, effettiva, corporale umanità di Gesù: come può non essere veramente uno di noi uno che è nato come noi? Forse uno dei migliori commenti a questa verità si trova in un testo molto suggestivo di J. Paul Sartre, il quale per il Natale 1940 nel lager di Treviri, metteva in bocca a Maria queste espressioni:
“Questo è mio figlio. Questa carne divina è la mia carne. Egli è fatto di me, ha i miei occhi e questa forma della sua bocca è la forma della mia. Egli mi assomiglia. E’ Dio e mi assomiglia! Nessuna donna ha avuto in questo modo il suo Dio per lei sola. Un Dio piccolissimo che si può prendere tra le braccia e coprire di baci, un Dio tutto caldo che sorride e respira, un Dio che si può toccare e vive”.
2. La seconda tappa del nostro pellegrinaggio ci porta qui a Rimini, nella chiesa di S. Agostino, davanti all’immagine solenne, ieratica della Maestà di un anonimo riminese, anch’egli di scuola grottesca. Lasciamoci ora incantare da questa Madonna possente e dolcissima, con il Bambino in piedi sulle sue ginocchia, come ritto in trono: nessun dubbio che il pittore abbia voluto esprimere la sua fede, che era e rimane la fede della Chiesa nella maternità divina di Maria, quella che potremmo chiamare la maternità metafisica di Maria. Se con l’affresco di Bonora si voleva accentuare l’umanità del Figlio, qui si vuole esprimere la verità dell’unità della sua persona. Siccome quest’unica persona che Maria genera secondo la carne non è altro che la persona del Figlio, di conseguenza lei ci appare vera “Madre di Dio”.
Al riguardo di questo titolo vertiginoso, fin dall’antichità si è soliti addurre l’esempio di ciò che avviene in ogni maternità umana. Ogni madre dà al proprio figlio il corpo, non l’anima che è infusa direttamente da Dio. Eppure io non chiamo mia madre, madre del mio corpo, ma più semplicemente mia madre, madre di tutto me stesso, per il semplice motivo che in me corpo e anima formano una unica realtà. Affidiamoci al linguaggio quasi catechistico di Don Oreste che nel Pane quotidiano di oggi commenta: “Maria è la Madre di Dio, cioè madre della persona di Gesù che è Dio e uomo. Come tu chiami una donna che ha un figlio medico ‘la madre del dottore’, così tu chiami Maria ‘la madre di Gesù’ o ‘la madre di Dio’ perché Gesù è anche Dio”.
Ma anche qui ci occorre un genio della poesia che dica l’infinita tridimensionalità della divina maternità di Maria. E solo il nostro sommo Poeta ci poteva cantare l’altezza, la lunghezza, la larghezza di tanto mistero. Ricordiamo?
«Vergine Madre, figlia del tuo figlio,
umile e alta più che creatura,
termine fisso d’etterno consiglio,
tu se’ colei che l’umana natura
nobilitasti sì, che ‘l suo fattore
non disdegnò di farsi sua fattura.
Nel ventre tuo si raccese l’amore,
per lo cui caldo ne l’etterna pace
così è germinato questo fiore>>.
3. Ora concludiamo il nostro pellegrinaggio virtuale ritornando dalle parti del santuario di Bonora, ma recandoci nella vicina chiesa parrocchiale di s. Paolo in Montefiore, dove possiamo ammirare l’unica immagine che abbiamo in diocesi della cosiddetta “Madonna del popolo”. E’ una tela di Bernardino Dolci (fine ‘400), dove qualcuno vuol riconoscere nel monaco ritratto sotto il braccio destro di Maria le sembianze di Bonora Ondidei, l’eremita che diede inizio al luogo di ritiro e preghiera che poi è divenuto il santuario di Bonora.
Troviamo qui espressa la maternità mistica di santa Maria: la Vergine Madre vi appare in piedi con il Bambino in braccio, mentre con l’ampio manto avvolge una moltitudine di figli, ritratti a statura rimpicciolita e addobbati con i costumi del tempo. Così si vuole dare corpo e figura alla fede in Maria coma la Madre del popolo di Dio o Madre della Chiesa, come il concilio Vaticano II ha ben espresso:
GIUSEPPE UNGARETTI, La madre
La lirica, datata 1930, appartiene alla raccolta “Sentimento del tempo”. Essa segna un ritorno del poeta alla tradizione, attraverso il recupero della versificazione tradizionale, di una sintassi più complessa e della punteggiatura.
E il cuore quando d’un ultimo battito
Avrà fatto cadere il muro d’ombra,
Per condurmi, Madre, sino al Signore,
Come una volta mi darai la mano.
In ginocchio, decisa,
Sarai una statua di fronte all’Eterno,
Come già ti vedeva
Quando eri ancora in vita.
Alzerai tremante le vecchie braccia,
Come quando spirasti
Dicendo: Mio Dio, eccomi.
E solo quando m’avrà perdonato,
Ti verrà desiderio di guardarmi.
Ricorderai d’avermi atteso tanto,
E avrai negli occhi un rapido sospiro.
Nel componimento, composto di due quartine, una terzina e due distici, il poeta affronta il tema della propria morte, esprimendo il desiderio che la propria madre, defunta, supplichi Dio per la salvezza del figlio. L’uso dell’indicativo nei versi di Ungaretti ci rende nota la certezza che l’autore ha della compassione della propria genitrice. Ella sarà incrollabile nella propria fede davanti al Signore, mentre implora il perdono per i peccati del figlio; alzerà tremante le vecchie braccia, ripetendo il gesto di abbandono alla volontà divina già compiuto in punto di morte. Nelle ultime due strofe(distici), si descrive la riconciliazione della madre con il figlio, perdonato e quindi avente portato a termine il processo di catarsi dal peccato: solo a quel punto la madre lo accoglierà, felice di aver portato la propria creatura vicina alla gloria di Dio.
Montale